«La Finanziaria mette in crisi il mercato dell’automobile»

L’allarme all’assemblea dell’Anfia: «Scelte incomprensibili». E spunta anche il caro-patente: crescono i costi per immatricolazioni e pratiche

Pierluigi Bonora

nostro inviato a Torino

«I modesti incentivi previsti in un primo tempo dalla Finanziaria avevano due funzioni: migliorare la qualità dell’aria e assicurare un sostegno ad artigiani e lavoratori, a basso reddito, intenzionati a cambiare il loro automezzo vecchio e inquinante. Poteva essere un primo passo, magari piccolo, ma comunque nella giusta direzione». Davanti al ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, non ha avuto problemi a criticare le ultime decisioni del governo che, dopo un lungo tira e molla, ha optato per la cancellazione dei bonus che avrebbero dovuto favorire lo svecchiamento del parco auto italiano.
All’assemblea generale dell’Anfia, l’associazione fra le industrie nazionali delle quattro ruote (250 imprese della filiera con 119mila addetti e un fatturato di 52 miliardi), Marchionne ha definito quella di Palazzo Chigi «una scelta che, oltre a essere incomprensibile, proprio per la valenza ambientale e anche perché nel 2007 non ci sarebbero stati oneri per l’erario, sta determimando molta incertezza tra i consumatori con il rischio di deprimere il mercato nel suo complesso». E i primi effetti negativi derivanti dalla nuova tassazione (aumenti del bollo per tutte le auto non Euro 4 e per le vetture - Euro 4 incluse - con potenza superiore a 100 kW; riduzione delle agevolazioni per i professionisti che usano l’auto aziendale; ulteriori limitazioni nel recupero dei costi dei veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti; impossibilità di recuperare i costi che derivano dagli automezzi intestati alle aziende e non assegnati ai dipendenti; inasprimento delle tariffe destinate alle operazioni che interessano la Motorizzazione: omologazioni, revisioni, immatricolazioni, rilascio della patente) potrebbero condizionare le vendite di autovetture nell’ultima parte dell’anno.
A questo punto Marchionne, nel ricordare al governo che circa il 40% dei 38 milioni di veicoli circolanti in Italia è ancora rappresentato da mezzi Euro 0 oppure Euro 1 (quindi i più inquinanti), ha sollecitato il ripristino degli incentivi e una maggiore chiarezza per quanto riguarda la politica fiscale applicata alle auto aziendali. La dimostrazione che a Roma i vari ministri continuano a procedere in ordine sparso è arrivata dalla replica, sulla cancellazione degli incentivi, fornita da Bianchi al numero uno della Fiat: «Il provvedimento stava lì - ha detto il ministro, apparso piuttosto spaesato e “sorpreso” nel leggere i dati che testimoniano la forza economica del settore - poi è scomparso in uno dei tanti sussulti di questa Finanziaria. Convengo che un provvedimento che serve a rinnovare, sia pure in misura limitata, il parco automobilistico circolante sarebbe un segnale di un percorso da fare. Vedremo se è possibile recuperarlo, io lo spero». Per tutta risposta, però, ieri sera un emendamento del governo ha aggravato la mini-stangata già prevista nella Finanziaria su omologazioni, immatricolazioni, revisioni, collaudi, rilascio e revisioni patenti.
E nonostante l’articolo 118 già prevedesse dal primo gennaio un aumento delle tariffe in questo settore per ottenere un gettito annuo di 45 milioni, con l’emendamento di ieri il governo punta ora a entrate più alte, portando il gettito a 50 milioni. I 5 milioni in più serviranno a raddoppiare le risorse per la predisposizione del Piano generale di mobilità («il sogno» di cui Bianchi ha parlato ieri a Torino), i sistemi informativi di supporto, il monitoraggio e la valutazione di efficacia degli interventi.


A pagare, dunque, è sempre il settore delle quattro ruote, un comparto su cui, come rilevato dal presidente dell’Anfia, Eugenio Razelli, «la pressione fiscale è in aumento: tra imposte dirette e indirette la quota destinata al fisco è oggi di 76,1 miliardi, pari al 21,1% delle entrate complessive dello Stato. Una percentuale praticamente doppia rispetto ai Paesi dell’Unione europea».

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