Roma - Se non fosse per il calibro dei personaggi coinvolti, la polemica montata ieri sarebbe stata derubricata a gioco delle parti tra organi dello Stato. Un classico delle ultime leggi finanziarie: il presidente della Camera lamenta il ricorso ai maxiemendamenti e al voto di fiducia; il governo difende le sue scelte dall’assalto alla diligenza. Solo che questa volta sul seggio più alto di Montecitorio e a Palazzo Chigi ci sono rispettivamente Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi e la cosa non poteva passare inosservata. Il j’accuse di Fini (sarebbe «politicamente deprecabile» se il governo ponesse, «legittimamente», la questione di fiducia sul testo della Finanziaria che non è stato discusso in commissione Bilancio) è stato fatto proprio e amplificato dalle opposizioni. Dal Pd, che ha accusato l’esecutivo di «stravolgere la Costituzione», fino al «Parlamento succursale di Palazzo Grazioli» di Italia dei valori, passando per il «governo senza etica» dell’Udc.
Proteste anche dalla maggioranza, in particolare dal presidente della commissione Bilancio Giancarlo Giorgetti che ha invitato il governo a non porre la fiducia sul testo che ieri è approdato in Aula e a non introdurre «materie nuove».
Ma più che il voto di fiducia in sé, a creare malumori è il fatto che il governo non intende fare deroghe alla riforma di fatto della Finanziaria attuata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. La manovra con la correzione dei conti e le principali misure di politica economica sono state anticipate e la Finanziaria vera e propria presentata alla fine di settembre contiene i saldi di bilancio e poco altro. Un impianto che il governo non intende modificare. Per questo in serata è arrivato il commento del premier Silvio Berlusconi: «C’è molta difficoltà a capire che l’assalto alla diligenza è finito. Non è una cosa così facile una innovazione di questo genere, perché taglia le gambe a tutte le lobby. Non è facile per molti accettare che ci sia la messa in sicurezza dei conti attraverso questo sistema. Qualche reazione ce l’aspettavamo...».
Insomma la vera partita è quella di evitare la valanga di emendamenti. «Le leggi finanziarie omnibus di migliaia di commi, di contenuto del tutto eterogeneo - ha spiegato il ministro dei Rapporti con il Parlamento Elio Vito - hanno rappresentato negli scorsi anni una delle patologie più gravi del nostro sistema istituzionale, denunciata in diverse occasioni dallo stesso presidente della Repubblica».
Spiegazioni che non hanno convinto Fini: «Tra l’assalto alla diligenza e far discutere il provvedimento alla Camera c’è una bella differenza».
Per evitare il muro contro muro si è così fatta strada una soluzione intermedia tra le esigenze del Parlamento e quelle del governo. Un maxi emendamento messo a punto dal relatore della Finanziaria Gaspare Giudice potrebbe raccogliere alcune proposte dei deputati, anche delle opposizioni. Sicuramente ci saranno alcune correzioni molto attese dai sindacati, come l’incremento del fondo per la Cassa integrazione che rischia di non essere sufficiente a coprire le crisi delle imprese causate dal terremoto della finanza mondiale.
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