Fincantieri e le lacrime di coccodrillo

Fincantieri e le lacrime di coccodrillo

(...) Terza premessa indispensabile: anche il governo non è esente da colpe. Ma non perchè, come sostiene il centrosinistra, Berlusconi è ministro ad interim dello Sviluppo Economico. Ma perchè, per una serie di vincoli, soprattutto europei, anche quando c’era Claudio Scajola al ministero, a differenza di tanti altri casi che riguardavano la Liguria, è riuscito a fare poco o nulla per i cantieri. Questa è la semplice verità. Tutto il resto, è propaganda, in un senso o nell’altro. Da un lato, c’è l’esaltazione acritica di alcuni esponenti del Pdl («Quando c’era lui!»), il cui orizzonte si ferma alla professione di fede nell’ex ministro, cosa che non si può propriamente definire un programma politico e che è sempre stata patetica, come abbiamo spiegato anche in tempi non sospetti, prima di tanti sgradevoli calci dell’asino che Scajola, comunque, non si merita.
Dall’altro lato, c’è la trita polemica sulla mancanza del ministro dello Sviluppo Economico, sfoderata ieri non solo dalla sinistra, ma anche da Confindustria Genova, la cui attenzione per la vicenda Fincantieri - dopo la votazione per la presidenza quando il management dell’azienda di Stato, a mio parere sbagliando, non si espresse per la candidatura di Vittorio Malacalza - non sembrava così accesa. Una conferenza stampa a suo tempo (ma, a occhio e croce, era ancora il tempo di Paolo Corradi) e, ieri, un segno di vita. Benvenuti.
Quarta premessa indispensabile: in tutto questo, l’amministratore delegato Giuseppe Bono è forse il minor colpevole. Ve l’abbiamo raccontato passo passo, illustrandovi i suoi risultati, le sue idee, le sue battaglie contro il veterosindacalismo e il suo essere un Marchionne al pesto (o, meglio, al peperoncino, viste le sue origini calabresi), ante litteram. Tanto per dire, nel mondo, in tutto il mondo, dall’inizio della crisi, sono state ordinate quattro navi da crociera. E tre se le è aggiudicate Fincantieri, nonostante la Fiom rischiasse di far perdere le commesse di Carnival, giocando con il fuoco degli scioperi e dei picchetti ai cancelli di Marghera. Questi sono fatti, il resto sono chiacchiere e comunicati.
Ma è anche il caso di dire che tanti di quelli che si indignano e si strappano le vesti oggi, sono gli stessi che cavalcavano quelle proteste e che si sono opposti alla politica riformista di Bono e dei suoi. Talora, addirittura con la complicità di quella parte del centrodestra che è convinta che sia giusto cavalcare ogni protesta «perchè poi ci votano». È andata così con il Carlo Felice, è andata così con le finte pensioni dell’amianto ed è andata così anche con Fincantieri. Ma, a Genova e in Liguria, di solito finisce che quelli della protesta continuano a votare a sinistra. E che qualche moderato del Pdl, stufo di questo modo di ragionare, dice basta.
Detto questo, è impossibile non ricordare che la Provincia di Genova, presieduta da Alessandro Repetto, si schierò contro la quotazione in Borsa di Fincantieri, quando avrebbe dato nuova linfa finanziaria all’azienda.
Detto questo, è impossibile non ricordare che il Comune di Genova, quello della Marta che minaccia di sdraiarsi sui binari e che «è pronta ad azioni clamorose, con le istituzioni che saranno con i lavoratori alla testa dei cortei», è lo stesso Comune che ritardò il ribaltamento a mare dello stabilimento di Sestri Ponente quando erano tempi di vacche grasse. Lo stesso sindaco che parlò di Alcatraz quando Fincantieri propose le carceri galleggianti che avrebbero dato nuovo lavoro ai cantieri.
Detto questo, è impossibile non ricordare che la Regione Liguria - quella di Claudio Burlando che dice di essere «pronto a scendere in strada alla testa del corteo dei lavoratori» (allora è un vizio, che sappiano fare solo questo?) e che spiega che «dobbiamo togliere ogni alibi a Fincantieri» - è la stessa che, insieme a Provincia e Comune, partecipò alle manifestazioni nel cantiere di Sestri, arringando i lavoratori su un contratto integrativo aziendale e su un premio di risultato che forse non era stato raggiunto.


In quell’occasione, tentarono di entrare all’assemblea anche camalli e personaggi in cerca d’autore, ragazzotti dei centri sociali, vari ed eventuali.
Ecco, siamo sicuri che fosse quello il modo migliore in cui gli enti locali potevano aiutare i lavoratori? E siamo sicuri che oggi abbiano diritto di piangere?
Io penso di no.

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