Luca Telese
da Roma
Bisogna partire dal segretario, dalle sue conferenze stampa memorabili. Quella nervosa in cui proclamava la vittoria dellUnione a urne aperte (10 aprile 2006) con una faccia da cadavere e senza rispondere a nessuna domanda. E quella di ieri, in cui - terreo - cercava di convincere i giornalisti che il secondo peggior risultato assoluto della storia elettorale dei Ds (il 17.4%) era in realtà un successo. Incredibile ma vero, ecco lo stenografico di quel che Piero Fassino ripeteva ieri: «Il nostro dato non può certo essere valutato in termini meramente percentuali, va letto in questo modo...». Mentre fra i giornalisti si diffondeva la curiosità su quali parametri andassero adottati, Fassino dava i numeri: «Se si fa una proiezione sulla Camera del voto dei Ds al Senato - osservava - valutando che un terzo di quelli che hanno votato Ulivo non avrebbero votato né Ds né Margherita, e applicando la stessa proporzione che cè al Senato fra i Ds e Margherita, ovvero 68 a 32 voti, al 66% dei voti dellUlivo... bene, lapplicazione di questo parametro sul 66% degli elettori, una previsione molto realistica... porta i Ds al 19%. È questa la nostra reale consistenza». In sala i cronisti si guardano perplessi. Fassino, certo di essere stato persuasivo aggiungeva: «È un calcolo che abbiamo fatto fare agli esperti». Meraviglioso (che siano esperti della Nexus?). Ed è ovvio che si può costruire lautoritratto di un partito smarrito, con la faccia scavata del suo leader esangue, o dallincarnato pallido del suo presidente, Massimo DAlema, quello che ieri sbatteva la porta e diceva: «Ritiro la mia candidatura alla presidenza della Camera». E che il giorno prima rifiutava una domanda sulle scelte di Prodi del cronista de La Sette con un moto di stizza e le nocche sbattute sul cofano della macchina: «Ah non lha capito? Allora lei è proprio de coccio!». E alla corrispondente di Radio Popolare che gli chiedeva cosa sarebbe accaduto per la presidenza: «Lo vada a chiedere al piano di sopra!» (indicando la sede di piazza Santi Apostoli). E a una giovane cronista della Dire (lagenzia più vicina ai Ds!) che gli chiedeva cosa avrebbe fatto: «Lei non si preoccupi di cosa farò io. Me la vedo da solo...».
Oppure potresti indagare la distanza fra la realtà di ieri e quellaggettivo di politichese adamantino che a Fassino piace tanto: «Siamo il partito baricentrico». Lo ripeteva ancora ieri con gli occhi che si chiudevano per il tic delle palpebre e slogan scanditi come formule scaramantiche per esorcizzare la sconfitta. Il «partito baricentrico», in effetti, è quel che i Ds pensavano di essere e - fattore più importante - erano riusciti a far credere di essere. «Baricentrico» era laggettivo che per Fassino indicava il luogo geometrico della stabilità e della forza: «Con lautorità che ci deriva dal nostro ruolo - disse DAlema nella storica designazione di Prodi in un lontano giorno del 1995 - le conferiamo lincarico di candidato». E dietro quel pronome sottointeso, quel noi quasi pontificale, cera tutto: lo stesso DAlema, il partito, i tortellini dellEmilia, legemonia culturale. Ancora alle amministrative del 2005, i Ds potevano dire di avere il 24% dei voti, quasi un quarto degli elettori, il quadruplo dei voti di Rifondazione. Ma dopo le politiche si ritrovano con un dato di poco superiore al doppio del Prc (17.5% contro 7.4%). I Ds pensavano di essere il motore di tutto, il partito che decide i candidati, che media fra estremi e designa i premier in attesa di fabbricare i propri: le regionali 2000 invece, fecero uscire DAlema da Palazzo Chigi, e con lui i sogni di premiership diessina. Le primarie pugliesi 2005 dimostrarono che un candidato di Rifondazione (Nichi Vendola) poteva ribaltare il pronunciamento della Quercia e quelle nazionali (sempre 2005), che Prodi vinceva perché i diessini restavano ancora figli di un dio minore, impossibilitati a esprimere un nome.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.