«Fine corsa»! Mai la prima pagina del Giornale mi è sembrata più felice e mai titolone più gradito. Finalmente Prodi va a casa. Ma possiamo essere sicuri? Non è la prima volta che si prende una spallata e che sta lì lì per chiudere bottega. Stavolta sembra quella buona ma luomo ha dimostrato tante volte di avere la poltrona incollata al sedere con il Saratoga sigillante. Posso stappare la bottiglia di champagne?
Porti un po di pazienza, caro Bonetti: oggi pomeriggio sapremo se, raccolte le sue carabattole il «flaccido imbroglione» (il copyright del gustoso epiteto è di Massimo DAlema), sloggerà da Palazzo Chigi. Forse ci sarà il fotofinish non essendo tipo, come lei dice, da mollar losso tanto facilmente e meno che mai in questa circostanza, perché sa che una volta mollatolo uscirebbe dalla comune senza speranza di rimetterci piede. Prodi, infatti, non è bollito solo come primo ministro, lo è pure come politico (risulta sì presidente del Piddì, ma il sagace Veltroni manco gli ha riservato una stanzetta, manco un sottoscala nel loft di piazza Santa Anastasia). Venderà dunque cara la pellaccia, probabilmente cercando di impapocchiare un Prodi bis, ma anche se vendendosi per un piatto di lenticchie dovesse riuscirvi, a galla ci starebbe ben poco. Certo non oltre il fatidico 28 ottobre, San Cirillo, data in cui scattano le pensioni dei parlamentari e di conseguenza cade ogni intralcio alle elezioni anticipate, tanto il grisbì è già bello che in tasca.
Lo so, lo so, non è creanza gioire delle disgrazie altrui o ballare la giga alle viste dun poveruomo che frigge sulla graticola. Ma non ho mai nascosto i miei sentimenti: il flaccido imbroglione non mè mai piaciuto. Né come premier né come seconder. Perfino la partita finale - momento nel quale finanche le mammole tirano fuori gli attributi - lha giocata da omarino. Non gli è bastato chiedere «fiducia per andare avanti» quando è chiaro come il sole che lavanti è rappresentato dallabisso dove finirebbe per precipitare precipitandovi il Paese. Se ne è uscito anche con un «voglio che mi guardino negli occhi», espressione da guappo (e cartone), ma che pronunciata da lui suona chioccia, frignante.
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