«La fine di Prodi? Colpa di “Repubblica”»

Al di là del colore democristiano - «Cleme’, ma chi mi hai portato?», esclamò De Mita nell’87 dopo il colloquio con Berlusconi chiamato per la campagna elettorale - e degli stupori un po’ naif, da ministro di provincia che sospetta uno scherzo di Fiorello - «karo filiolo» - quando il Papa lo chiama al telefono, il libro di Mastella ora in libreria racconta una storia sofferta, a tratti drammatica, ma bella e avvincente. «Non sarò clemente», promette il titolo di queste «memorie dell’ultimo democristiano» (Rizzoli, 18 euro). In realtà le memorie occupano una sessantina di pagine. Le altre duecento sono interamente dedicate a quel presente che per Mastella è iniziato nel gennaio dell’anno scorso e forse non si conclude adesso con la “resurrezione”, quelle 80mila preferenze che lo fanno il più votato in Campania dopo Berlusconi.
Sì, Clemente non è stato clemente. Forse non ha ancora metabolizzato il dolore che ha accumulato, ma s’è tolto un peso dallo stomaco raccontando la «sua» verità sulla caduta di Prodi, l’arresto della moglie Sandra, i magistrati di Santa Maria Capua Vetere e di Catanzaro. Le miserie del centrosinistra si mischiano nel racconto alle ambizioni di Veltroni e Di Pietro, alla pavidità di D’Alema e alla miopia di Prodi. E poi questo “complotto”, del quale Mastella ha certezza ormai, ma senza averne ben compreso linee e regia.


È la storia di un uomo. Che si apre con le parole della moglie. «Clem, non mollare», diceva l’sms di Sandra il giorno delle dimissioni da Guardasigilli. Mastella lo conserva ancora nel telefonino. «È il mio Prozac», scrive.

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