da Roma
Il superamento del «quadro politico» invocato da Lamberto Dini non è solo la certificazione del definitivo logoramento della maggioranza di centrosinistra. Le parole, ma soprattutto le opere (l’ok alla manovra dei lib-dem, ndr), dell’ex premier hanno determinato alcune conseguenze nella Cdl. L’«implosione» della maggioranza, provocata dal pervicace muro contro muro di Silvio Berlusconi, non si è tradotta in un’immediata crisi di governo. Pure il Cavaliere ha ribadito di non aver mai parlato di «spallata». Ma il fatto che - parola di Berlusconi - «la caduta del governo è solo rinviata» inevitabilmente apre un confronto tra le anime del centrodestra.
Gianfranco Fini, presidente di An, ha subito scritto al Corriere sottolineando quanto «sia doveroso riflettere e cambiare strategia» e, piuttosto che aspettare Godot, ossia la fine di Prodi & C., aprire al confronto sulla legge elettorale. Va subito detto che la presa di posizione dell’ex ministro degli Esteri non nasce da questioni personali. Come il presunto appoggio berlusconiano alla Destra di Storace e l’insistenza di Striscia la notizia sulla sua vita sentimentale.
Anzi, ieri la presidenza di Mediaset ha espresso «una netta presa di distanza dagli eccessi giornalistici e satirici» respingendo contestualmente «il sospetto di un disegno politico-editoriale orchestrato dal gruppo Fininvest ai danni del presidente di An», un’ipotesi «che fa torto all’autonomia di Silvio Berlusconi e a Silvio Berlusconi». L’ideatore del programma Antonio Ricci ha affermato di aver «fatto satira come l’abbiamo fatta su Berlusconi e D’Alema».
Resta il fatto che la sortita finiana ha collocato An su una posizione molto più «vicina» all’Udc di Pier Ferdinando Casini, da sempre fautore della dialettica sulla legge elettorale in direzione del proporzionale alla tedesca. «È buffo vedersi dar ragione a cose fatte», ha commentato il portavoce di via Due Macelli, Michele Vietti. A questo si aggiunge il dispiacere di Umberto Bossi e della Lega per l’«esposizione» del partito a una battaglia parlamentare che, in termini numerici, non è stata vinta. Il capogruppo leghista al Senato, Roberto Castelli, ha preannunciato che oggi si «farà il punto» con Bossi perché «la Lega non gioca sulla musica degli altri». Obiettivo: disinnescare la mina-referendum.
Poi le divergenze con Forza Italia si assottigliano. In primo luogo, i tre azionisti di minoranza della Cdl non hanno la stessa visione del capitolo-riforme. An è da sempre sostenitrice del bipolarismo e del rafforzamento dei poteri del premier. La linea, quindi, non è né quella di Casini né quella di Bossi.
«La vera molla che farà saltare Prodi - spiegano da An - è la minaccia del referendum: la lettera di Fini ha provocato sconquasso nella maggioranza costringendo tutti quanti, Veltroni compreso, a rincorrerlo. Ascolteremo le proposte, ma nessuno pensi a una proroga del governo Prodi».
Berlusconi è quindi decisivo perché la chiusura al dialogo con il centrosinistra è condizionata: in primis, al passaggio (eventuale) della Finanziaria e, in secundis, a piccole migliorie dell’attuale legge elettorale. Anche perché, come ha detto il vicecoordinatore azzurro Cicchitto, «fare riforme con questo governo è una barzelletta».
La situazione si presenta così più chiaramente. Non è scontato che la Finanziaria possa farcela nuovamente al Senato. Anche se passasse, la possibilità di un nuovo gruppo targato Dini-Bordon può sparigliare le carte decretando la crisi.
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