RomaSorride sarcastico, ma in realtà mastica amaro Gianfranco Fini, di fronte alle telecamere di La7, durante l’intervista con Enrico Mentana. Doveva aspettarsela qualche domanda sull’affaire di Montecarlo, casa ereditata dal partito, venduta a una società offshore per due noccioline e finita chissà come al cognato Giancarlo Tulliani. Ma quando Mentana insiste, Fini perde le staffe: «Ma lei dirige Novella 3000 o un telegiornale?». È in difficoltà, balbetta, il presidente della Camera, graziato invece per la vicenda Rai: ossia le pressioni su un dirigente di viale Mazzini per favorire la famiglia Tulliani.
La prima domanda sul pasticcio monegasco Fini pensa di liquidarla così: «È una vicenda che farà ridere, non ho nulla da temere, nulla da nascondere. È stata aperta un’indagine giudiziaria da due avversari politici. Attendo serenamente la magistratura. E per chi ha calunniato - chiaro riferimento a Giornale e Libero che però non cita mai - ne risponderà in tribunale. Si ricorda la mia nota di risposta? Ecco, ho scritto quello che sapevo». Crede che il supplizio sia finito lì. E invece no. Mentana, come del resto gli italiani, non si accontenta: «Ma scusi, lei a Montecarlo non c’è mai andato?». «No». «Ma i testimoni che dicono il contrario?». «Lo provino». Il sorriso di Fini diventa sempre più smorfia. La tortura continua: «Ma scusi... Tulliani?». «L’ha affittata, tutto qua». Dentro ribolle di rabbia. Ma Fini il freddo ricorda la regola del «quando sei all’angolo, attacca»: «Ma è questo il problema della politica? - ribatte seccato il presidente della Camera -. La magistratura verificherà. Basta avere pazienza». Quella che sta per perdere Fini perché Mentana non molla l’osso e gli chiede ancora di far chiarezza perché troppe cose sono ancora nell’ombra. Fini è indispettito: «Pontone (il tesoriere di An, ndr) è un galantuomo. Dissi io di vendere perché l’offerta era congrua». Poi la capriola sul motivo per cui il cognato sarebbe finito proprio in quella palazzina: «Tulliani non ha saputo da me della casa. Si ricorda la mia nota? Ho spiegato tutto lì». E invece no e Mentana cita proprio il suo scritto difensivo: «Lei ha detto che s’è arrabbiato con Tulliani quando ha saputo...». «Sono molto più arrabbiato con chi per mesi ha lapidato la mia famiglia. Ma lei dirige Novella 3000 o un telegiornale?», graffia Fini nella veste di leone ferito. Ma il rancore nei confronti di Mentana che insiste a far domande è poco rispetto a quello nei confronti di Giornale e Libero: «Giornali del partito dell’amore che dimostrano una strana concezione dei rapporti caritatevoli».
E pensare che l’intervista inizia nel segno del miele: «Complimenti per il suo tg», dice Fini a Mentana che parte dalle notizie di giornata. «Bossi e Berlusconi non saliranno al Colle per chiedere le mie dimissioni. Se lo faranno dimostreranno di essere analfabeti di diritto costituzionale. Nessuno ha il potere di chiedere le dimissioni del presidente della Camera, nemmeno il capo dello Stato. Se poi saliranno al Colle per parlare della situazione politica mi pare naturale e doveroso». Non lascerà la poltrona di Montecitorio: «La Camera non è la dependance di Palazzo Chigi e sarebbe grave se il premier dicesse “ti abbiamo eletto noi”. Dimostrerebbe di avere una concezione proprietaria delle istituzioni». Poi, Fini ripete i concetti espressi a Mirabello con tanto di accuse al premier: «Sono stato espulso. Perché sarei incompatibile? Governare non significa comandare». Prova a rimettere il cerino nella mani del Pdl: «Noi vogliamo che la legislatura vada avanti. C’è un programma di governo che vogliamo discutere». Fini mostra i denti.
Ormai è chiaro che sarà rottura: «Se la situazione precipita siamo prontissimi alle elezioni - giura -. E comunque non torno nel Pdl che non c’è più». La campagna elettorale è iniziata.
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