Fini: ci serve una nuova classe dirigente

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da Roma

Con i suoi Bossi l’ha riassunta così: «La legislatura è andata, siamo già in campagna elettorale. È arrivato il momento di ricominciare ad alzare la voce». E così, dopo l’affondo di sabato scorso al Parlamento del Nord, il Senatùr torna a evocare la rivolta. Con toni più sfumati, se a Vicenza era arrivato a parlare di «dieci milioni di padani» pronti a «una guerra di liberazione». Dalle colonne della Padania, infatti, dopo essersi detto convinto che «non esiste più una via democratica per cambiare la Costituzione» per colpa del «referendum confermativo» che ha permesso al Sud di «abrogare la devoluzione», il leader della Lega si chiede se si debba ancora «tacere e rassegnarsi seguendo l’ammonimento del capo dello Stato» o se invece sia arrivato il momento di «reagire».
Parole che arrivano proprio nel giorno in cui la conferenza dei capigruppo del Senato accoglie la richiesta dell’Unione per un dibattito parlamentare sull’exploit vicentino del Senatùr. Perché, spiega il presidente dei senatori dell’Ulivo Finocchiaro, «vogliamo conoscere la posizione del resto dell’opposizione».
Ma tanto il Carroccio si sente già in campagna elettorale che la scelta del dibattito in Aula viene accolta da Bossi e dai suoi colonnelli con un certa soddisfazione. Al punto che il capogruppo al Senato Castelli decide di fare un passo in più e per l’occasione chiede la diretta tv così che possa essere «il popolo sovrano a giudicare chi ha ragione». E in modo che il dibattito si trasformi in uno spot per la Lega che avrà a sua disposizione due o tre ore di diretta Rai. Per Marini, infatti, non sarà facile dire no. Un po’ perché la maggioranza ha sottolineato più volte l’importanza del dibattito e un po’ perché la Finocchiaro ieri mattina si era detta sostanzialmente favorevole («la Lega ha chiesto la diretta tv e noi siamo assolutamente soddisfatti di questa scelta»). Non è un caso che in Transatlantico Maroni si lasci sfuggire un sorriso: «Mi sa che ci hanno fatto un regalone...».
Già, perché a questo punto l’obiettivo del Carroccio è sostanzialmente uno: rilanciarsi nella coalizione di centrodestra in vista delle elezioni considerate ormai alle porte, ma facendo capire al proprio elettorato che questa volta la devoluzione non potrà essere in balia di un referendum confermativo. D’altra parte, spiega Maroni, «Bossi ha deciso di affondare proprio nel giorno in cui Berlusconi è venuto al Parlamento del Nord».
Insomma, un modo per «consolidare l'alleanza» ma pure per dire che «gli errori del passato non si dovranno ripetere». Anche secondo il capogruppo leghista, infatti, la legislatura ha i giorni contati. Tanto che Maroni sembra quasi auspicare che il governo non cada troppo presto. «Succedesse ora - spiega - rischieremmo di beccarci un governo istituzionale che poi tira avanti anni. Mentre se la crisi arrivasse quando la Finanziaria è già a buon punto avremmo molte più possibilità di ottenere dal Quirinale le elezioni anticipate». Che, aggiunge, a febbraio «volevamo solo noi», mentre ora «sono venuti tutti sulle nostre posizioni».
Insomma, con il centrosinistra nessun dialogo è possibile. Nonostante la lettera di Violante che pubblica oggi la Padania. Con il presidente degli Affari costituzionali della Camera che invita Bossi a «andare avanti sulle riforme». Abbiamo iniziato la discussione in Commissione, scrive l’esponente ds, su un testo che prevede «Senato federale, potenziamento dei poteri del premier e riduzione del numero dei parlamentari». «Tutte cose - aggiunge - che rispondono alle esigenze della Lega». Insomma, «sarebbe saggio bocciarle?».

E - proprio lui che nell’Aula di Montecitorio era stato uno dei più accesi critici delle parole di Bossi a Vicenza - conclude tendendo la mano al Senatùr: «Spero che la Lega non respinga la riforma».
La risposta sta nel fatto che Bossi non fa pubblicare la lettera in prima pagina, ma solo al piede della tre. Perché, dice ai suoi, «ormai siamo fuori tempo massimo».

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