RomaIn perfetta sintonia con lo slogan del poster appeso alle sue spalle, Gianfranco Fini prosegue nel suo personalissimo «cammino possibile». Un tragitto fatto di smarcamenti rispetto alla sua (ex?) maggioranza, di graffiate alla Lega, di un anomalo ma compiaciuto fastidio a chi si ostina a chiamarlo «compagno». Loccasione per lennesimo niet in materia di immigrazione arriva durante un incontro a casa di don Vinicio Albanese, patron della comunità Capodarco che si occupa principalmente di accoglienza per i diversamente abili. Accanto al presidente della Camera pure il leader dellUdc Pier Ferdinando Casini e il pidiellino presidente della commissione Antimafia, Giuseppe Pisanu: dopo tanti incontri privati tra Fini e Casini, ecco un summit alla luce del sole.
Si parla di extracomunitari e Fini non rinuncia a bocciare parte del ddl sul processo breve, redatto dai senatori del Pdl Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello e dal leghista Federico Bricolo. «È veramente inammissibile che nellelenco dei reati esclusi dal cosiddetto processo breve vi siano quelli in materia di immigrazione che attualmente sono puniti con unammenda o poco più», taglia corto Fini. In pratica la proposta di legge che fissa per ogni grado di giudizio una durata massima di due anni, superati i quali il procedimento si estingue, per lex leader di An deve valere anche per i clandestini. Cosa che irrita il Carroccio. «Sarebbe diverso - spiega il presidente della Camera - se si parlasse di delitti in materia di immigrazione, perché sarebbe tuttaltra cosa». E Fini avverte che è pronto a scendere in campo. Sullattuale formulazione si domanda sarcastico: «È stata una svista? Ne prendo atto. Non è stata una svista? Allora auspico che accada ciò che è accaduto in un altro momento», ricordando la rivolta parlamentare contro la norma sui medici-spia.
Ma il vero e proprio schiaffo ad Alberto da Giussano arriva poco dopo, con il guanto ruvido dellironia: «È bello che si difendano le tradizioni, il crocifisso e il presepe ma, con una battuta, dico che chi guarda il presepe vede che è pieno di extracomunitari». Il pensiero corre ai tre Re Magi, Melchiorre, Baldassarre e Gaspare: venivano dallOriente e non erano ebrei. E anche Gesù, Maria e Giuseppe: migranti che per sfuggire a Erode si sono rifugiati in Egitto.
La parola che rimbomba in sala è «patto». «Il patto che vi propongo - è la sfida di don Albanese - è di abbandonare i temi legati alla piccola politica e di guardare al paese... a partire dagli stranieri». Casini aderisce immediatamente e nel contempo accusa la Lega: «Esaspera le paure e instilla veleni». Ci sta pure Fini che rivendica di parlare da tempo del problema di immigrazione e critica chi lo critica di sinistrismo: «Mi ha fatto piacere sentire il compagno Pisanu», per il quale il tema «è oggetto di speculazioni elettorali». Democristianamente definiti «amici», Fini va allattacco degli alleati del Carroccio: «Gli amici della Lega partono da un presupposto sbagliato. È un ritardo culturale pensare che per gli immigrati si debba stilare una lunga serie di doveri e si debbano dare invece pochi diritti». Più esplicito: «I leghisti sono refrattari a questi temi che creano loro lorticaria perché partono dal presupposto sbagliato che limmigrato sia qui di passaggio e che limmigrazione sia temporanea». Un errore perché «non è detto che tutti intendano tornare a casa». Pur consapevole che la materia provoca non pochi malumori nel centrodestra, Fini la cavalca ugualmente: «Parliamone a prescindere dagli eventuali problemi che possono nascere: la politica non può soltanto e sempre seguire lopinione pubblica, a volte la deve guidare».
È un Fini di buon umore, quello in versione anti-Bossi, che trova spazio pure per una battuta che lo riguarda da vicino: appena preso il microfono, che inspiegabilmente continua a fare le bizze, rievoca la gaffe del fuori onda di Pescara: «Con i microfoni bisogna stare attenti...».
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