RomaUno spettro saggira nella testa di Gianfranco Fini: il voto. Da mesi ansioso di smarcarsi da Berlusconi, tanto da arrivare a pestargli sovente i piedi, lex capo di An ha capito che la sua strategia è aleatoria. Mettersi di traverso a ogni curva può portare visibilità e consensi (specie nel Pd) nel breve periodo ma cè pure il rischio di capottarsi. Qualora infatti il Cavaliere decidesse come estrema ratio di voler rovesciare lintero tavolo della partita e chiedere al capo dello Stato di dare la parola ai cittadini, per Fini sarebbero guai. Il suo esercito di fedelissimi sarebbe senza dubbio ridimensionato allinterno del centrodestra e lui, il generale, non sarebbe più posizionato sul prestigioso fronte di Montecitorio. Ipotesi bislacca o meno, a Fini non converrebbe affatto. Consapevole che se Berlusconi dovesse scegliere la carta del «muoia Sansone con tutti i filistei» poi Sansone potrebbe risorgere mentre i filistei molto meno, il presidente della Camera frena. Tirare la corda sì, ma guai se la stessa dovesse spezzarsi.
Così, in unintervista a Lucia Annunziata, ecco smascherare le proprie paure: a una precisa domanda sullipotesi di elezioni anticipate, Fini risponde che no, «sarebbero il fallimento della legislatura sia per gli elettori sia per il Pdl». Ma soprattutto sarebbero il fallimento del proprio futuro politico. Oggi Fini ha potere, prestigio, ruolo istituzionale con cui vestire i propri distinguo; domani potrebbe non essere più così. Ecco perché leventuale «andiamo tutti i casa» è vero e proprio fumo negli occhi per lex capo di An. Il quale è costretto a barcamenarsi tra il «non gliene lascio passare una», riferito al premier, e il «io tra i registi del complotto? Teoria bizzarra». Di fatto, al presidente della Camera conviene alzare la voce ma soltanto sottovoce affinché Silvio non alzi troppo la sua, additandolo agli elettori come lingrato cospiratore. Unaccusa che farebbe senzaltro presa su un elettorato stufo di altolà, distinguo, sgambetti, lealtà a corrente alternata.
Così, sul delicato tema della giustizia, ieri è andato in onda un Fini più coraggioso sia sul Lodo Alfano che sul disegno di legge sul processo breve. Sul primo fronte, il presidente della Camera ha detto che «non cè niente di scandaloso su una legge che autorizza le alte cariche dello Stato ad essere processate alla fine del proprio mandato», ma soprattutto ha riconosciuto che «la Corte costituzionale ha motivato il suo no al Lodo Alfano in maniera difforme rispetto al no sul precedente Lodo Schifani». Sul secondo tema, via libera «al processo breve o meglio processo con tempi certi che neppure deve provocare scandalo visto che siamo stati più volte condannati dallUnione europea per la durata abnorme dei procedimenti». Certo, lha ribadito anche ieri, «con la precondizione di stanziare di risorse reali per gli operatori della giustizia, cosa a cui il ministro Tremonti sè detto daccordo e su cui Berlusconi non ha obiettato alcunché».
Poi, via a sgomberare il campo dei sospetti su un eventuale suo ruolo al di fuori del Pdl: «Non voglio fare un partito né archiviare lesperienza del Pdl, progetto che ho contribuito a creare e nel quale credo ancora. Serve solo - ecco spiegate le sue recenti sortite - un po di sale nella minestra». Tesi convincente? Per qualche ex azzurro no. Osvaldo Napoli, per esempio, va giù duro: «Il suo è un ultimatum: se voleva rassicurare sui destini del governo e della legislatura, Fini ha finito per fornire valide ragioni al premier perché rovesci il tavolo e chieda il voto anticipato. Obiettivo, sia chiaro, al quale Berlusconi non pensa». Tornando alla metafora gastronomica, il problema sorgerebbe se il troppo sale rendesse la minestra immangiabile: «Un nuovo congresso per andare alla conta? Sarebbe una non soluzione», avverte Fini. Ecco laltro timore dellex capo di An: arrivare a una sorta di resa dei conti del chi sta con chi. Quanti sceglierebbero lui e quanti il Cavaliere?
Meglio, quindi piantare paletti, censurare ma soltanto un po, senza mai arrivare allo strappo definitivo.
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