Roma - «Nel ’95 uscimmo dalla “casa del padre”, dalla storia del Msi, e siamo riusciti a sopravvivere. Sono convinto che l’uscita dalla “casa del cognato” sarà una passeggiata, al confronto...». La battuta viene istintiva a Maurizio Gasparri, quando gli si domanda se Fini, dai e dai, riuscirà a convincere il giovin Tulliani a cambiare abitazione.
Presidente Gasparri, come le è sembrata l’autodifesa di Gianfranco Fini?
«Sull’affaire Montecarlo ci sono state una serie di ammissioni, alcune anche molto forti. Potevano essere fatte prima, certo, ma ora sono arrivate. E c’è la sconfessione di quegli armigeri finiani che nei giorni scorsi avevano offeso la presidenza del Consiglio e i servizi segreti: Fini ha espresso un esplicito riconoscimento a Gianni Letta e a Gianni De Gennaro, che peraltro era stato recentemente in visita da lui ad Ansedonia, ma questo è sicuramente un fatto normale».
E sul piano politico, quell’invito a fermare il «gioco al massacro» è una offerta di tregua?
«C’è senza dubbio un’apertura, un segnale di disponibilità che va colto, sia pur condito con varie asprezze e giudizi astiosi nei confronti del premier che però fanno parte del gioco: se offri la pace, devi poter dire ai tuoi che gliele hai cantate».
Torniamo a casa Tulliani. Quali sono le ammissioni, sia pur tardive, di cui lei parla?
«Intanto il dubbio sulla proprietà effettiva della casa, cui Fini collega anche le proprie dimissioni dalla presidenza della Camera: una furbizia, certo, agganciarle alla “prova diabolica” sulla casa, perché la certezza materiale su questo non ci sarà probabilmente mai. Però certo Fini ha ammesso che Tulliani fece le ristrutturazioni di quella casa, confermando quanto avevate scritto voi del Giornale. E perché uno si accolla il restauro di un appartamento? Per amicizia verso la società proprietaria? Le deduzioni sono possibili...».
Se c’è stata qualche «leggerezza» non c’è stato però nessun danno alla cosa pubblica, ha tenuto a rimarcare il presidente della Camera.
«D’accordo. Ma mi lasci esprimere, come ex di Alleanza Nazionale, una profonda amarezza. Quella casa di boulevard Princesse Charlotte, oggi domicilio di Giancarlo Tulliani, era stata lasciata in eredità al mio partito per sostenere le sue battaglie politiche. Invece è stata svenduta ad un prezzo ridicolo, un quarto del suo valore, ad una strana società: se mi permette non è una gran bella cosa».
Sul valore della casa Fini dice che forse c’è stata una «leggerezza».
«Finora si è sostenuto l’insostenibile sul prezzo di quell’appartamento: anche il portiere dello stabile accanto al mio è in grado di dire che è stata svenduta. Sono lieto però della difesa che Fini ha voluto fare di Francesco Pontone, l’ex tesoriere di An che curò materialmente la vendita: giusta difesa, perché Pontone fu un mero esecutore. Non aveva nessuna delega discrezionale a cercare un compratore, gli venne solo detto: vai e firma quel contratto al prezzo che troverai già stabilito».
Lei parla di sconfessione da parte del presidente della Camera degli esponenti più estremisti del suo gruppo.
«Esatto, quei seminatori di veleno che tra qualche mese, se vuole la mia opinione, troveremo confluiti nell’Italia dei Valori di Tonino Di Pietro. Invece mi pare che Fini abbia dato ascolto alle preoccupazioni di quei suoi parlamentari, quelli meno astiosi verso Berlusconi e il Pdl, che pochi giorni fa, a casa del senatore Consolo, lo invitavano a cercare un confronto più sereno nella maggioranza».
Da capogruppo Pdl al Senato ora è più ottimista sul dibattito del 29 settembre?
«Fini ha usato sicuramente toni aspri e anche un po’ astiosi verso il premier, ma nella parte finale del suo intervento ha fatto una sostanziale apertura.
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