Massimo Malpica
da Roma
«La linea del governo era ed è incompatibile con certi atteggiamenti, era ed è opposta a quella del ministro Calderoli. Le sue dimissioni erano doverose». Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini parla piano, lasciando allinterprete il tempo di tradurre le parole che scandisce agli ambasciatori e ai diplomatici dei Paesi arabi (tra cui lincaricato daffari della Libia) e ai rappresentanti delle comunità islamiche che lo hanno aspettato ieri pomeriggio in moschea a Roma. Sono tutti seduti intorno a un lungo tavolo ovale, in una stanza off limits per giornalisti e fotografi, la cui tranquillità è violata soltanto dai frequenti ingressi di un cameriere che porta vassoi carichi di tazzine di caffè.
«LItalia è proiettata nel Mediterraneo, e noi siamo un ponte che cerca di unire, crediamo nel dialogo e nel reciproco rispetto», spiega Fini, rammaricandosi per gli incidenti di Bengasi «che ci hanno profondamente colpito» ed esprimendo il proprio «dolore per le vittime». Il ministro ringrazia anche le autorità libiche «per avere difeso la nostra ambasciata», raccontando di una telefonata tra il premier Silvio Berlusconi e il colonnello Gheddafi, con questultimo che ha condannato lattacco alla rappresentanza diplomatica dellItalia che «è un Paese amico della Libia».
«Ogni religione merita rispetto, sempre e comunque», scandisce ancora il vicepremier, che invita a combattere lignoranza per arginare terrorismo e integralismo. E prima di concludere ricorda: «Certamente la libertà di stampa è un valore da difendere, ma certamente non significa libertà di offendere». Così, quando il leader di An finisce di parlare, un lungo applauso conferma che le sue parole sono piaciute a una platea che, prima con Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale dItalia, e poi con lambasciatore dOman Abdullah Salim Al-Araimi, non nasconde di non aver mandato giù le scelte di vestiario di Calderoli. Ma che ha anche sottolineato di aver «molto apprezzato la posizione assunta dal governo per isolare questa voce singola», ricordando che il sermone dellimam della capitale due giorni fa invitava i fedeli a «non raccogliere le provocazioni». Ma musulmani dItalia e rappresentanti diplomatici avevano accolto con favore soprattutto le dimissioni di Calderoli, la cui notizia era arrivata, opportunamente, alla moschea di Monte Antenne dopo pranzo, poco prima del vicepremier. «È stato un segno di responsabilità, e bene ha fatto Berlusconi a chiederlo», chiosa il direttore della sezione italiana della Lega mondiale musulmana, Mario Scialoja, ricevendo Fini che ricorda come «il gesto al ministro delle Riforme è stato chiesto da premier e da me esplicitamente già ieri sera».
Dopo il «chiarimento» in un luogo simbolo come la più grande moschea del mondo occidentale, la visita al tempio diventa per il vicepremier loccasione per lanciare nuovi segnali distensivi. A cominciare dalla bacchettata che il ministro riserva alla calca dei fotoreporter allingresso del tempio: «Cercate di ricordarvi dove siete», ammonisce il ministro, che più tardi si ripete quando gli chiedono di farsi immortalare di fronte al minareto: «Che cè di strano. Basta venire nella mia stanza alla Farnesina, dalla quale ho il piacere di vedere ogni giorno il minareto della moschea di Roma». E mentre Scialoja gli racconta i dettagli del progetto di Portoghesi, Fini si guarda in giro e poi commenta: «La cosa che più colpisce, entrando in una moschea, è la totale assenza di immagini». È il motivo per cui le «vignette sataniche» hanno fatto tanto scalpore. Fini sembra rendersene conto mentre parla, così, dopo una breve pausa, aggiunge sospirando: «Questo per tornare alla ben nota questione che ci ha portato qui». Poi ricorda «i tanti elementi che accomunano le grandi religioni monoteiste», si informa sul luogo destinato alla preghiera delle donne e sorride alla battuta di Scialoja, che per spiegare che la divisione tra generi è dovuta solo al bisogno di concentrazione dice: «Per esempio, se io mi trovassi la Bellucci di fronte, molto probabilmente potrei distrarmi».
La visita per ricucire lo «strappo» istituzionale è finita.
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