«Fini odia Berlusconi dal ’93 perché i suoi amano il Cav»

«L’antiberlusconismo di Fini nasce già nel 1993. Quando con l’endorsement del Cavaliere a Gianfranco come sindaco di Roma, Silvio Berlusconi si candidò a guidare la coalizione dei moderati che raccoglieva il blocco sociale del pentapartito. Sbarrando la strada al giovane segretario dell’Msi».
Enzo Palmesano ha fatto politica per trent’anni dentro il Movimento sociale e tra le scrivanie del Secolo d’Italia e conosce il presidente della Camera da una vita. Poi, improvvisamente, la sua strada e quella di An presero direzioni opposte. Senza un apparente perché e con pesanti strascichi anche personali. La riflessione sullo strappo tra il premier e il presidente della Camera, sfociata nella nascita del nuovo partito finiano era stata anticipata in un suo libro (Sfida a Berlusconi, Aliberti editore) uscito molti mesi prima dell’addio definitivo. «Ma sbaglia chi pensa che Fini abbia deciso in questi mesi di scaricare il Cavaliere. L’antiberlusconismo, quello di destra, è nato nel 1993».
Impossibile.
«Invece sì. Quando Berlusconi disse “voterei Fini a sindaco di Roma” nel Msi più d’uno di noi disse: “Ma quello vuole aiutarlo o vuole scendere in campo con una iniziativa ben pensata per togliere il palcoscenico a Fini?”». Questa tesi secondo la quale Berlusconi è entrato in campo ben prima del ’94 è una riflessione molto sentita già allora. Non sappiamo se sia andata così, però...».
Berlusconi scelse Fini perché rappresentava la destra pulita, perché era il migliore alleato possibile...
«Non credo. Berlusconi scendeva in campo contro la sinistra in funzione anti comunista. E dunque scelse gli alleati dell’altro fronte. Se invece di Fini ci fosse stato un altro, Segni o Martinazzoli, avrebbe scelto quell’altro. Silvio giocava una partita per sé stesso, e ha usato quel “sì” in funzione della sua discesa in campo. I politici erano strumentali a quel disegno».
E lì nasce l’antiberlusconismo di sinistra...
«Ma anche quella di destra. Non si capisce il fenomeno Berlusconi se non si tiene presente il blocco sociale di riferimento. L’area moderata, erede dei partiti della Prima repubblica compresa la sinistra riformista, che allora e oggi ragiona in chiave anticomunista. Non è un caso se la sinistra ha vinto solo quando si è presentata con il volto moderato di Romano Prodi».
Perché strappare adesso, allora?
«Non è una rottura. È solo concorrenza politica che già si era avvertita nel 1999, quando Fini pensò, una volta per tutte, di assestare il colpo definitivo».
Il famoso patto dell’Elefante.
«Forza Italia nel ’96 era andata male, intorno al 20%. Alleanza nazionale prese il 15 per cento. Con il 4% scarso di Segni Fini era convinto di superare Forza Italia e accreditarsi come leader del centrodestra».
Ma l’algebra non è politica.
«E poi c’è la questione irrisolta dell’eredità fascista».
Ancora? Ma Fini ha già da tempo preso le distanze dal Ventennio...
«Ma il peso della storia rimane. Fini doveva eliminare la Fiamma dal simbolo di An, ma disse di no. E molti di quelli che oggi passano per moderati allora non volevano spegnerla... La destra europea moderna, moderata e conservatrice in Italia non è mai esistita, non c’è mai stata una Bad Godesberg italiana. La destra è sempre una mutazione del neofascismo. Fare i conti senza questa eredità fa saltare tutti i piani, soprattutto se ci si paragona ai partiti di destra in Europa. Tutti dichiaratamente antifascisti, dalla Germania alla Francia dei neogollisti».
E se Fini avesse detto no al Cavaliere nel ’94?
«Avrebbe perso contro il centrosinistra e avrebbe avuto per le mani un partito neofascista che avrebbe preoccupato l’Europa. È stato Berlusconi a imporgli delle scelte che andassero a incidere sull’elettorato moderato. Lo stesso Cavaliere si è sempre detto liberale ma non disdegnava e non disdegna di mostrare tratti di decisionismo che per i vecchi missini potrebbero essere, con una semplificazione, “mussoliniani”. Così i missini sono sempre stati attratti da Berlusconi, mentre Fini non riesce a trovare il consenso di moderati, cattolici, laici, socialisti, liberali confluiti in Forza Italia. Fini non è riuscito a “missinizzare” Forza Italia, il Cavaliere, invece, è riuscito a berlusconizzare An. Anche in questa strategia Fini ha perso troppo tempo...».
Insomma, Fini non sarà mai come Sarkozy.
«Eppure lui e i suoi intellettuali sono partiti proprio da quell’esperienza interna all’Ump e allo scontro vinto dal presidente francese Jacques Chirac».
Questa non l’ho capita...
«La loro teoria è: per sconfiggere Berlusconi devi combatterlo da “dentro” il suo partito. An ormai era stata cannibalizzata dal Cavaliere, tanto valeva fare il Pdl. Altro calcolo sbagliato».


Insomma, è tutta colpa dei pensatori di Farefuturo.
«No, l’errore è sempre di Fini. Che ha preso i consigli degli intellettuali organici come giustificazione culturale a una mera battaglia di potere».
felice.manti@ilgiornale.it

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