Politica

Fini: «Sul referendum non mi rimangio nulla»

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Massimo Malpica

nostro inviato a Bucarest

Disertare il referendum è «legittimo», ma lo è altrettanto valutare il non voto come diseducativo. Gianfranco Fini non torna indietro, conferma la sostanza delle sue ultime dichiarazioni sul referendum e concede solo un passaggio più morbido sugli astensionisti. In missione a Bucarest, a margine della conferenza stampa con il suo giovane omologo romeno Mihai Razvan Ungureanu, il leader di Alleanza nazionale è abbronzato e sorridente, risponde di getto, e a braccio, alle domande dei giornalisti. Disegna strategie per il futuro dell’Unione europea dopo il «no» di Francia e Olanda, raccomanda all'Unione di «mantenere la parola data» relativamente all'allargamento, annuncia battaglia con il premier lussemburghese Jean Claude Juncker per i paventati tagli al bilancio Ue, esprime soddisfazione per il prossimo ingresso nell'Unione dell’«amica Romania».
Sembra un normale viaggio diplomatico, ma quando l'argomento scivola sul tema del giorno, quello che campeggia sulle prime pagine di tutti i giornali, quando il ministro degli Esteri deve dire se si aspettava il polverone che si è alzato all'interno di Alleanza nazionale, dopo le sue critiche al fronte dell'astensione e la conferma della sua intenzione di votare Si a tre dei quattro quesiti referendari sulla procreazione assistita, Fini si blocca, e anche il suo sorriso tramonta rapidamente. «Allora...», scandisce lentamente il titolare della Farnesina. Poi resta in silenzio per una decina di secondi, come se volesse pesare e ripesare ogni singola parola prima di affidarla a microfoni e taccuini. E infine: «Credo che tutti dobbiamo partire dalla constatazione, che certamente confermo, della piena legittimità dell'astensione» attacca il vicepremier, sgombrando il campo dagli equivoci. È una scansione lenta, ma resta il rumore del sasso gettato nello stagno. E si vedono i cerchi concentrici formarsi. Per la seconda volta. Fini, dopo aver riconosciuto dignità al partito del non voto, passa subito al contrattacco. E spiega che giudicare l'astensione «come l'ho giudicata, non educativa nei confronti del corpo elettorale, perchè di questo si tratta, credo appartenga alla libertà di valutazione che ognuno deve avere e che, nell'ambito di An, personalmente rivendico, ovviamente pur rispettando le opinioni diverse».
Un rispetto che non è sempre stato bidirezionale, considerando le aspre critiche incassate due giorni fa dal titolare della Farnesina da molti esponenti del suo stesso partito, apertamente schierati per l'astensione, che non hanno gradito affatto la seconda, e stavolta ufficiale, presa di posizione del leader di An sul delicatissimo tema referendario. Ma qui Fini torna a fare il pompiere, o almeno a ridimensionare la portata della polemica, riconducendola da spaccatura nel partito a un «male endemico» italico. Ossia alla «tendenza a ingigantire le questioni, ad andare oltre quelli che sono i termini fisiologici del confronto» che «è uno degli elementi che caratterizza, non da oggi e non solo in Alleanza nazionale, il dibattito politico».
Insomma, un invito rivolto ai suoi ad abbassare i toni, un monito diretto ai colonnelli di An in rivolta, ma non di certo un passo indietro, anzi. «Nel merito - conclude il vicepremier lasciando la sede del ministero degli Esteri romeno - ovviamente confermo tutto quello che ho detto».
La linea dunque resta la stessa. Con la sola precisazione della legittimità dell'astensione.

E come era prevedibile, resta alta anche la tensione nel partito, che considera «a larga maggioranza», come ha detto ieri il ministro dell'Agricoltura Gianni Alemanno, non solo legittima, ma anche «necessaria e politicamente fondata» la scelta del non voto.

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