Roma «Visto? Berlusconi è inaffidabile», dice Gianfranco Fini ai suoi, riuniti nella sede di Farefuturo per fare il punto sulla situazione. Il leader del Fli veste i panni a lui più congeniali, quelli del falco tra i falchi, e isola le colombe più inclini alla trattativa. Niente da fare, la linea decisa ieri è quella dell’ultimatum, della rottura: dimissioni o sfiducia. Uno scarno comunicato sintetizza l’esito di un incontro a tratti burrascoso: «Se Berlusconi non prenderà atto della necessità di aprire, attraverso le sue dimissioni, una nuova fase politica, Fli voterà la sfiducia».
A frenare il muro contro muro, ancora una volta Silvano Moffa, il più propenso a risolvere la questione prima del 14 dicembre e il più scettico sulla richiesta di dimissioni del Cavaliere. Sostiene che le continue richieste di abdicazione del Cavaliere non portano a nulla e che sarebbe sufficiente far ripartire l’azione dell’esecutivo con una nuova agenda politica, inclusa la discussione su una nuova legge elettorale. Cerca di convincere il capo ma il suo sforzo risulta vano.
A pesare sono soprattutto le indiscrezioni apparse sulla stampa due giorni fa che raccontavano di un summit Bocchino-Berlusconi per scongiurare il patatrac del 14. Un vertice che sarebbe dovuto rimanere segreto e che invece è uscito su tutti i giornali. Cosa che ha mandato in bestia i falchi finiani per un duplice motivo. Primo: s’è data un’immagine di debolezza del Fli indaffarato a scansare il rischio urne. Secondo: dell’estrema mediazione è stato tenuto all’oscuro Casini che, chiaramente, non l’ha affatto presa bene. Anche perché s’è evidenziato in maniera lampante che Fini non si fida del tutto del leader Udc.
Fini quindi avrebbe detto ai suoi: «La verità è che con uno come Letta, con il quale c’è sempre stato un confronto, si può parlare perché è persona seria. Con Silvio ogni sforzo è vano. La cosa doveva rimanere top secret e invece ha spifferato tutto; tipico atteggiamento di chi vuol far saltare la trattativa». Versione, questa, seccamente smentita dal Pdl che in una nota replica: «È davvero paradossale, strumentale e offensivo che autorevoli esponenti del Fli accusino il presidente Berlusconi di aver violato la riservatezza di un incontro avvenuto con l’on. Bocchino, giustificando in questo modo la decisione del Fli stesso di andare al muro contro muro».
A dar man forte al presidente della Camera, ancora una volta dimostratosi il più rapace di tutti, gli altri tifosi della linea dura, impegnati a sottolineare che «mentre noi trattiamo i suoi giornali ci attaccano un giorno sì e l’altro pure. Adesso anche la campagna-wanted di Libero. Francamente così ci passa la voglia». La linea viene poi ribadita in un video messaggio da Bocchino che - dopo averlo sempre smentito - ammette l’incontro col premier e attacca: «Berlusconi preferisce lo scontro muscolare invece di dimettersi. Fa tutto questo sperando di avere la fiducia con qualche deputato dell’Idv... Ma si tratta di un ribaltone inutile».
In mattinata volano gli stracci al primo piano di via del Seminario perché ancora una volta emergono crepe all’interno del Fli. Alla fine la spunta Fini: il premier deve lasciare. Moffa il pontiere, quando esce, si trincera dietro un «no comment». Fautore della linea morbida, assieme a Moffa, Giuseppe Consolo che, pur ammettendo che «nel nostro movimento c’è chi la pensa più in un modo o più in un altro» e rivelando che «secondo me le dimissioni del premier non sono indispensabili», tuttavia mette in guardia il premier: «Alla fine saremo compatti». Traduzione: lavoreremo fino alla fine per un accordo ma se alla fine si va al redde rationem non ci saranno defezioni e, seppur con il mal di pancia, staccheremo la spina a questo governo. Vero? Mica tanto visto che subito si smarca Catone che giura: «Per ora l’unica cosa certa è che non voterò la sfiducia a questo governo. Poi sul fatto se lascerò o meno il partito ancora non so...».
Le colombe ieri hanno perso una battaglia ma non la guerra e il loro volo continua. «Certo - ammette un anonimo finiano - se Berlusconi ci desse un appiglio in più sarebbe più facile anche per noi». Il lavorio prosegue e proseguirà fino all’ultimo secondo utile. Con un’altra proposta da gettare sul tavolo della trattativa: Berlusconi non si dimette ma fa dimettere tutti i suoi ministri. Poi sale al Colle con una squadra in gran parte rinnovata e una nuova agenda di governo in grado di attrarre forze fresche. Ipotesi, questa, forse rimasta al livello di scuola ma che non è detto che non venga proposta. E se tutto precipita, urne siano.
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