di Cristiano Gatti
Voglio dissociarmi pubblicamente da Uefa, Coni, Fifa, Cio, Figc e se necessario anche da Wwf e Bmw: propongo labolizione del fair-play. Ma sì, basta con questa penosa ipocrisia. Dobbiamo essere onesti con noi stessi: il fair-play è una bella idea, ma non ce la possiamo permettere.
Di sicuro non è più possibile dar retta proprio a loro, i cosiddetti testimonial del fair-play, che con i propri gesti virtuosi dovrebbero intenerire i cuori degli adulti ed avviare ai più alti ideali le menti dei ragazzini. Guardiamoci in giro: basta una panoramica sullultimo weekend, ovunque ci si volti sincontrano luminosi esempi.
Vogliamo parlare di Mourinho? Da tempo si sarebbe offerto come ri-educatore del vulcanico afro-gnaro Balotelli, vittima di quel suo carattere focoso, strafottente, provocatorio. Per insegnargli il rispetto delle regole e la buona educazione, lo sbatte in tribuna, lo manda a giocare con la Primavera, ad Appiano Gentile gli mette probabilmente anche la sabbia nel letto. Lezioni forzate di fair-play. E come no. Limportante è dare lesempio. Laltra sera, il maestro di vita non si fa alcun problema nel mandare platealmente al diavolo, con sarcastico applauso e specifico labiale, larbitro fetente. Se ho capito anchio la lezione morale: Balotelli dovrebbe incassare con flemma socratica le entrate dalta carpenteria degli avversari e i cori bifolchi dei tifosi, mentre Mourinho ha ampia facoltà di isteria. Dica quel che vuole, il vecchio Special-One. Ma non è che noi italiani, per quanto svalvolati e volubili, abbiamo lanello al naso. Ormai abbiamo imparato a conoscerlo: lui è maestro di bon ton, un vero testimonial di fair-play, quando vince. Quando più o meno sono capaci tutti. Ma quando gira male, anche lui libera tranquillamente la bestia e diventa fanatico quanto noialtri. Diciamo che ha una grossa fortuna: essendo bravo, gli succede poche volte di perdere. Così maschera. Ma per piacere lasciamolo perdere come testimonial di fair-play. Vale Balotelli.
Il problema generale è semplice: lo sport, su indicazione delle sue vestali più bacchettone, pretenderebbe ancora dessere un esempio. Sempre questo richiamo ai buoni sentimenti, sempre questa messa cantata dello spirito olimpico. Labbiamo contemplato incantati, questo clima idilliaco, proprio in Juve-Inter, la madre di tutte le partite: il mondo a guardare, i piccoli ad attendere illuminanti esempi, i campioni a rompersi le corna per le questioni più basse. Stupenda la gomitata alla cieca di Melo, esilarante la scena di Balotelli mezzo morto a terra con le mani sulla faccia (e peccato che Melo lavesse preso sul costato), ragguardevole la testata di Chivu, sontuoso il match Buffon-Motta.
Fair-play? Ancora parliamo di fair-play? Il fair-play è come il coraggio: non possiamo comprarcelo allEsselunga. Questi sono gli stessi che ad inizio partita sfilano con la maglietta delle buone cause, contro la fame in Africa, contro la leucemia e ovviamente contro la violenza negli stadi. Due minuti dopo, sono già alle mani per un corner. È la loro idea di fair-play: prima e dopo, magari. Ma durante la partita, come amano spiegare, cè lagonismo. E allora: se cè lagonismo, se è così utopistico contenerlo, piantiamola con la falsa poesia. Già che ci siamo: e Pillon? Dopo aver imposto ai suoi di restituire il gol scippato, ad Ascoli i suoi stessi tifosi se lo vogliono mangiare. Per dire quantè sentito, anche a livello popolare, il fair-play.
Il discorso non può essere completo senza il doveroso omaggio agli eroi nazionali che il fisco sta impallinando: dopo Valentino Rossi, dopo Cipollini, tocca a Bettini. Per anni è andata così: bellissimi discorsi sul tricolore e sulla maglia azzurra, molto orgoglio sul made in Italy, molto abuso di ideali patriottici, ma in contemporanea la residenza e il patrimonio debitamente sistemati nei rifugi di Montecarlo.
Poi dovremmo spararci in vena il fair-play. Chiudiamola, una volta per tutte. Aboliamolo. Non affatichiamoci più con aspirazioni che non ci possiamo permettere.
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