Finti blogger, supercomputer Così il regime dei mullah ha messo il bavaglio a internet

PersianKiwi è scomparso dal 24 giugno. Alle 8.09 di quella sera scrive «Controllano le linee telefoniche più usate per individuare chi sta su internet, dobbiamo muoverci in fretta». Venticinque minuti dopo l'ultimo segnale: «Dobbiamo andare non so quando torneremo, se prendono uno di noi lo torturano per avere i nomi degli altri, dobbiamo muoverci in fretta». Da allora PersianKiwi è in galera.
Il 24 giugno è il «dies horribilis» della rivoluzione via internet. Quel giorno scatta la grande controffensiva elettronica e decine di cyber oppositori convinti, fino ad allora, di farla franca utilizzando risorse online per rendere anonime le proprie connessioni si ritrovano in carcere o latitanti. Non avevano fatto i conti con le apparecchiature hi-tech acquistate in occidente dai servizi segreti iraniani. Avevano sottovalutato un'intelligence in grado di contrapporsi al Mossad israeliano. La prima insuperabile risorsa per rintracciare gli oppositori di twitter e internet è un supercomputer fornito da Siemens e Nokia. L'apparecchio, progettato per analizzare le parole chiave dei messaggi, individua in pochi secondi computer e telefonini che li hanno originati. L'apparato installato nel centro per il controllo delle telecomunicazioni di Sepah Square a Teheran, progettato negli anni ’70 dagli specialisti del Mossad, allora alleati dello scià, è il cuore della guerra elettronica.
Il super computer è all'opera già molte settimane prima delle elezioni, ma i suoi utilizzatori evitano di intervenire. Regalano agli attivisti una sensazione d'impunità e intanto immagazzinano dati e connessioni. Quando all'indomani del voto scatta la resistenza elettronica gli specialisti di regime ne azzerano una buona parte, assumendo il controllo della decina di server che gestiscono gli accesi internet. Restano in attività solo gli oppositori più sofisticati dotati di terminali stranieri e satellitari o capaci di filtrare i propri dati attraverso risorse di rete in grado di assicurare l'anonimato. Per spezzare quella punta di lancia della rivolta cibernetica i servizi segreti creano una serie di finti «resistenti» e li usano per seminare informazioni false e individuare gli attivisti. Queste tattiche li portano, secondo fonti d'intelligence, a individuare alcuni attivisti in grado di aggirare i blocchi internet usando linee telefoniche di cellulari inglesi. Quella scoperta è all'origine della furia antibritannica costata l'espulsione di due funzionari dell'ambasciata e l'arresto di nove dipendenti iraniani.

Quei numeri messi a disposizione dai servizi segreti inglesi sarebbero stati distribuiti da qualcuno degli impiegati dell'ambasciata arrestati sabato notte.
L'ultima grande retata di una controffensiva che ha messo al tappeto l'onda verde di twitter e internet

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