Finti martiri

Franco Cordero, l’illustre difensore della libertà. Franco Cordero, il filosofo del diritto pensoso, e preferito da Repubblica, che se deve aggredire Berlusconi (è la sua attività preferita da almeno un decennio) lo fa da par suo: inventandosi frasi dove la ferocia che nullifica l’umanità dell’avversario è ammantata di paroloni. Tipo definendo il premier così: «Gli sta a pennello l’aggettivo tedesco “folgerichtig”, nel senso subrazionale: ha dei riflessi costanti (finto sorriso, autocompianto, barzelletta, morso, digestione); non tollera le vie mediate; sceglie d’istinto la più corta, come il caimano quando punta la preda».
Franco Cordero da quest’anno diventa anche martire, vittima delle più atroci delle violazioni nel campo delle libertà civili: la censura. Almeno così la racconta lui in un vibrante pezzo nelle pagine (guardacaso) di Repubblica di ieri. E lui il puro, nemmeno viene boicottato dal suddetto «“folgherichting”, nel senso sub razionale», ma dai suoi feroci scherani al Salone del libro. Per la precisione da Ernesto Ferrero (uno che era amico di Vittorini e lavorava all’Einaudi, nota casa editrice parafascista). Ecco allora spiegato il titolo «Io Ospite al Salone, Ma con “biasimo”». In cosa è consistita la censura? Franco Cordero avrebbe dovuto presentare al Salone la sua ultima opera letteraria scritta a due mani con un non necessariamente consenziente Giacomo Leopardi: Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani. Seguito dai pensieri d’un italiano d’oggi. Sì insomma, un libro carico di modestia: Cordero prende per mano Leopardi e gli insegna a vivere nell’oggi. Però la presentazione del volume, che era stata ovviamente concordata con gli organizzatori del Salone, è stata pubblicata con un giorno d’anticipo sempre su Repubblica (che strano). E di Leopardi coautore non è che si parli tanto, a partire dal titolo Il duca Valentino del terzo millennio. E basta prendere un virgolettato qualunque per capire dove il giusto giurista volesse andare a parare: bersaglio unico Silvio Berlusconi. Mai nominato ma tartassato con cattiveria cinica e studiata che gode nell’affastellare parole: «Nel Bagalùn del Lüster arricchito con mezzi fraudolenti molti riconoscono la loro mano sinistra (apoliticamente parlando): cinico, irridente, volgare nel profondo, bugiardo, versipelle, attore di una scurrile commedia dell’arte, spietato con gli avversari...». Senza contare l’immancabile paragone con Adolf Hitler, tanto per ribadire che l’Italia vive sotto un regime: «Adolf Hitler vi durò dodici anni. Qui siamo in un contesto molto diverso, d’opera buffa e fondali neri...».
Abbastanza per far sì che al Salone, Ferrero, nel suo ruolo di padrone di casa, senza impedire a Cordero di dir nulla, si sia permesso, presentandolo, di far notare che al Lingotto da ventiquattro anni si pratica il dialogo e non l’invettiva. «Ci aspettavamo che ci parlasse del libro... Invece ieri su Repubblica abbiamo letto una fiammeggiante invettiva barocca contro il presidente del Consiglio dei Ministri».

Insomma un rabbuffo, inevitabile, minimale, dovuto, non fosse che per decenza. Ma invece no è ovviamente censura, roba da Ayatollah mozza orecchie. Ferrero è un servo. E guai se noi dicessimo che ha fatto la sola cosa decente da fare. Saremmo servi dei servi.

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