Fiom in fabbrica, Marchionne non ci sta

La sentenza del giudice del lavoro di Torino, Vincenzo Ciocchetti, sulla querelle tra Fiom e Fiat, se da un lato ha sancito la validità del piano Fabbrica Italia Pomigliano, con tutte le nuove regole che faranno funzionare lo stabilimento campano, dall’altro ha generato un vero pastrocchio. Con il riconoscimento dell’attività antisindacale da parte della Fiat, e la conseguente riammissione della rappresentanza Fiom all’interno dell’impianto, di fatto il giudice dà la possibilità al sindacato guidato da Maurizio Landini di poter fare il bello e il cattivo tempo.
Ecco perché, pochi minuti dopo la lettura della sentenza, l’amministratore delegato Sergio Marchionne, dalla sua abitazione torinese, ha dato ordine di sospendere gli investimenti previsti dal piano Fabbrica Italia. Il congelamento non riguarda Pomigliano d’Arco, dove i lavori che porteranno nei prossimi mesi alla produzione della nuova Panda, modello fondamentale per il business del gruppo, sono in fase avanzata.
In frigo, invece, sono finite le risorse destinate a Mirafiori (1 miliardo di euro), sito già indicato per produrre i nuovi Suv targati Alfa Romeo e Jeep, e alla Oag di Grugliasco (500 milioni) le cui linee dovrebbero sfornare una nuova Maserati. Il condizionale, a questo punto, diventa d’obbligo in quanto solo dopo la lettura delle motivazioni della sentenza, attese entro 60 giorni, Marchionne farà le sue considerazioni. Se risulterà difficile gestire l’attività programmata a causa di improvvisi scioperi o boicottaggi operati dalla Fiom, il top manager sarà obbligato a rivedere i suoi piani. Non sbaraccherà dall’Italia (la riconosciuta validità degli accordi da parte del giudice Ciocchetti rappresenta per la Fiat una grande vittoria), ma il top manager potrebbe ridimensionare i suoi piani per Mirafiori e Oag di Grugliasco. Che cosa significa? Il possibile rimescolamento delle allocazioni dei nuovi modelli con tutte le conseguenze che ne sortirebbero. Da tempo Marchionne va ripetendo che «in Italia dev’essere messo nelle condizioni di produrre affinché il gruppo resti competitivo». Il piano Fabbrica Italia, presentato nel 2010, va proprio in questa direzione: 20 miliardi puntati sul Paese che ha dato i natali alla Fiat, ma a patto che si creino le condizioni per portare il progetto a buon fine.
Da allora, prima di arrivare alla sentenza di sabato sera, è stato un susseguirsi di polemiche, scioperi, scontri, denunce e processi: un muro contro muro con la Fiom che neppure i due referendum (a Pomigliano d’Arco e Mirafiori) che anno visto prevalere le strategie della Fiat, gli accordi sottoscritti con la maggioranza dei sindacati metalmeccanici (Fim, Uilm, Ugl e Fismic) e l’intesa interconfederale (con il fattivo recupero della Cgil di cui la Fiom è il braccio ribelle metalmeccanico) sulla rappresentanza, hanno saputo per lo meno attenuare.
«Se Marchionne deve fare la guerra è giusto che indossi la corazza», ripetono a Torino anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate nelle ultime ore dal mai domo Landini: «Il giudice - afferma il capo della Fiom - ha ritenuto legittimi gli accordi di Pomigliano, ma questo non comporta né la nostra necessità di sottoscriverli, cosa che non faremo, né impedisce ai singoli lavoratori, che lo vorranno fare, di intentare cause individuali per ottenere la piena tutela dei propri diritti».
«Non penso che il giudice abbia inteso scrivere una sentenza contro l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, cioè che in un’azienda sono presenti solo i sindacati firmatari degli accordi - risponde Roberto Di Maulo (Fismic) -; in tal caso ci creerebbe una situazione paradossale: la Fiom viene messa nelle condizioni di contestare accordi ritenuti legittimi.

Riteniamo che l’ammissione della Fiom possa e debba essere condizionata esclusivamente dall’accettazione del contratto ritenuto valido e delle regole, compresa la clausola di responsabilità». «Come stanno le cose vedo una convivenza difficile - aggiunge Giovanni Centrella (Ugl) -; in Fiom devono ammettere la sconfitta e aprire una trattativa con Torino per un’intesa».

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