Fiom-Fiat, è guerra. Pronti nuovi scioperi

Fiom-Fiat, è guerra. Pronti nuovi scioperi

Il governo tace, o si limita a dire laconicamente che «la questione è delicata» (il ministro del Lavoro, Elsa Fornero); Susanna Camusso, leader della Cgil, appare sempre più condizionata dall’irruenza del segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, e teme che un invito alla riflessione al capo delle tute blu possa compromettere i suoi rapporti con la base «rossa» dei metalmeccanici. Landini non ci sta a far passare la strategia di Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat (applicazione del modello Pomigliano a tutti gli stabilimenti del gruppo), e gli dichiara apertamente guerra (scioperi di due ore nelle fabbriche e astensione generale dal lavoro da deciedre il 29 novembre prossimo).
Una reazione forte, quella di Landini, a un annuncio, quello di Fiat, che altro non è che la conseguenza della decisione del Lingotto di uscire dal sistema confindustriale, «e come tale - spiega in una nota lo stesso Marchionne - ampiamente attesa dagli addetti ai lavori». Il tono del messaggio di Marchionne, pacato, rappresenta probabilmente l’ultimo tentativo per evitare quello scontro frontale la cui estrema conseguenza sarebbe l’impossibilità di portare a termine il progetto Fabbrica Italia. «Il nostro orizzonte - scrive il top manager - è lo sviluppo, e ci stiamo muovendo nell’unica direzione possibile per ottenere la capacità competitiva necessaria. Crediamo che continuare su questa strada sia una nostra precisa responsabilità nei confronti dei lavoratori della Fiat e del Paese». Marchionne ricorda anche di aver «pubblicamente confermato che tutti gli stabilimenti dell’auto in Italia, a eccezione di Termini Imerese, avranno una precisa missione con nuovi prodotti e che, non avendo ridotto la nostra forza lavoro nel momento peggiore della crisi, non intendiamo farlo ora che stiamo lavorando alla realizzazione delle condizioni per crescere nel futuro».
Recedere dagli accordi aziendali del passato, a questo punto, per il Lingotto «rientra a pieno titolo nelle iniziative intraprese per migliorare la competitività e l’efficienza della struttura produttiva». «Occorrono - afferma Marchionne - accordi più moderni in grado di assicurare la flessibilità e la governabilità degli stabilimenti, ma anche di garantire alle persone condizioni di lavoro migliori e adeguati trattamenti economici».
La svolta impressa dal capo della Fiat alle relazioni industriali in Italia trova, comunque, il fronte sindacale spaccato. E se l’ala metalmeccanica della Cgil definisce la scelta del Lingotto «uno strappo democratico delle libertà», la posizione delle altre sigle vede il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, sostenere che «ci sarà un contratto nazionale per tutte le aziende di Fiat dell’auto, con regole di secondo livello per i diversi siti», mentre Giovanni Centrella (Ugl), invita al «dialogo» e alla «trattativa» per evitare allarmismi «di cui i lavoratori e fabbriche Fiat non hanno alcun bisogno».
A puntare il dito contro la Fiom è anche la Fismic: «Landini - dice il leader Roberto Di Maulo - rispetti l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori che assegna la rappresentatività ai sindacati firmatari dell’accordo».

Fatta eccezione per la Fiom, i sindacati metalmeccanici si preparano così a riscrivere insieme a Fiat il contratto dell’auto e hanno chiesto al Lingotto, con una lettera, un incontro per un tavolo negoziale che potrebbe aprirsi già la prossima settimana. L’intento è quello di chiudere entro la fine dell’anno. «Questo tavolo - precisa Luigi Angeletti (Uil) - dovrà puntare su crescita salariale e produttività».

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