Aveva due sole armi, una pagina di Facebook con 500mila sostenitori capaci di garantirgli una massa di voti giovanili e quella moglie instancabile capace per la prima volta dopo Farah Diba di entusiasmare le piazze iraniane e guidare una campagna elettorale al fianco del marito. A disinnescare l’arma di Facebook c’ha pensato la solerte censura dei puri e duri del regime pronti a tutto pur di garantire la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad.
Il 68enne ex primo ministro Mir Hossein Moussavi , l’unico candidato riformista in grado il prossimo 12 giugno di sfidare il presidente uscente , può ancora contare, però, su quella moglie mezza professoressa e mezza artista. Può ancora sperare in una compagna mezza Evita, quando fa ballare le piazze sfidando i divieti della Repubblica islamica, e mezza Michelle Obama quando, come scrive la stampa riformista, si presenta al fianco di Moussavi o addirittura lo sostituisce nei comizi. Quando, come ha fatto sabato, si scaglia contro l’era di Ahmadinejad e confida di sperare in «una nuova era in cui la libertà di parola, scrittura e pensiero non vengano più obnubilate».
Una cosa è certa, senza la moglie Zahra Rahnavard, senza quella professoressa artista e scultrice capace di prenderlo per mano e trascinarlo sul palco, lo sfidante di Ahmadinejad non andrebbe lontano. Senza la 64enne madre dei suoi tre figli capace, tra una lezione alla facoltà femminile di Scienze politiche e una mostra di sculture, di raggiungerlo a un comizio, lo stimato, ma grigio Hossein Moussavi sarebbe un candidato perduto. D’accordo, nessuno ha dimenticato i miracoli di un premier capace, tra il 1981 e il 1989, negli anni neri della guerra all’Irak, di salvare l’economia del Paese e garantire il pane quotidiano ai più poveri, ma quel ricordo da solo non basta. Con tutto il suo encomiabile passato l’ex premier non riuscirebbe a far saltare le platee di chador femminili venuti ad ascoltarlo o a scatenare l’entusiasmo di uomini e ragazzi impettiti sul lato opposto.
Nessuno in Iran mette in dubbio la rispettabilità di quel candidato, ma senza l’energia di Zahra, senza quella moglie capace di rubargli la scena e difendere le giovani donne perseguitate dai poliziotti e dalle ronde della morale a caccia di veli troppo corti, il candidato Moussavi non avrebbe troppe speranze.
Quella moglie professoressa e artista capace di vestire il chador sopra un multicolore foulard firmato e tirarsi in spalla una borsa bohèmienne ricamata con i disegni di qualche tribù delle montagne, è diventata l’autentica protagonista della campagna elettorale, la prima vera “first lady” iraniana capace di catalizzare sul marito un voto femminile mortificato dall’oscurantismo seguito all’era di Khatami. Così quando sabato 23 - durante il simbolico comizio organizzato a 12 anni esatti dalla prima travolgente vittoria del 1997 - Mohammed Khatami chiede ai suoi sostenitori di votare per Moussavi, al suo fianco non si presenta il candidato vero, ma la prima donna Zahra. È lei a scatenare le urla della folla promettendo tempi nuovi «senza più prigionieri politici e senza più studenti in prigione». È lei ad agitare quella doppia sarabanda di neri chador e di pugni alzati chiedendo che «la fine delle discriminazioni contro le donne non resti una semplice speranza». A quel punto le bandiere verdi, il colore simbolo dei sostenitori di Moussavi, inondano la piazza, ragazzi e ragazze inneggiano a quella 64enne mamma putativa.
«Quando l’ascoltiamo pensiamo veramente che il peggio possa
passare, quando lei parla – spiega la 21enne Shakiba Shakerhosseie a nome dei 12mila giovani in piedi sotto il palco - sogniamo veramente un futuro nuovo in cui tutti potremo essere come lei e diventare i suoi veri figli».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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