Fli in bilico al Senato. Dieci piccoli finiani pronti a trattare

Sono i fratelli «buoni» dei falchi finiani della Camera, ma meno diligenti e coinvolti delle colombe, lontani dal fulcro della secessione. Insomma, dieci solitari piccoli indiani che al Senato si sono riuniti a gran fatica in uno sparuto gruppo parlamentare con il minimo delle adesioni possibili e che dopo il documento della pacificazione presentato due giorni fa vengono visti da molti come l’anello più debole della svolta futurista di Fini, l’ingranaggio più fragile del nuovo prodotto della politica italiana.
Son finiani sulla carta: in realtà per arrivare a dieci c’è voluto uno sforzo di tattica parlamentare e immaginazione. Per molti il collante è stata «la scontentezza», riassume un senatore ex An che conosce molto bene i vecchi compagni di partito, i componenti della versione soft in Senato di Futuro e Libertà. Scontentezza, frustrazione, la sensazione di sentirsi messi da parte: tra gli insoddisfatti si possono contare almeno due dei dieci piccoli indiani finiani di palazzo Madama, ossia l’ex viceministro dell’Economia Mario Baldassarri, ma ancor di più la ex governatrice della regione di Nassirya, Barbara Contini, l’unica dei Flies a non arrivare da Alleanza Nazionale. Quello che potrebbe essere definito come lo zoccolo duro del gruppetto è costituito dai senatori Giuseppe Valditara, Maria Ida Germontani e Francesco Pontone. I più fedeli, vengono descritti, ma di loro non si può certo dire che siano dei pasdaran, dei falchi tiratori di professione, né che vogliano la fine di questo governo. «Falchi al Senato non ne esistono - ci spiega ancora il senatore che ha preferito Berlusconi a Fini - il gruppo del Pdl è sempre stato compatto, niente a che vedere con la Camera».
Lo strappo di Fini, in effetti, a palazzo Madama è stato vissuto come un fulmine a ciel sereno. Ad aprile uno dei finiani più temerari della Camera, Fabio Granata, giurava - prefigurando la scissione con tre mesi di anticipo - che a palazzo Madama si sarebbero staccati dal Pdl in 18. E invece il gruppo del Fli qui è partito con numeri minimi (10 componenti è la soglia per costituire un gruppo) e orfano due volte. La prima perché in Senato manca il capo. La figura di Fini viene vista come lontana. A palazzo madama Fini non conta, non parla, non guida. E per questo motivo al Senato ogni scontro è smussato, soltanto sui temi etici si ricordano discussioni all'interno del Popolo della Libertà. Uno dei finiani teoricamente più incrollabili, il senatore Maurizio Saia, ha avuto da ridire con i berlusconiani proprio sui temi sensibili della vita e della morte, non certo su questioni più politiche, o legate alla figura del premier.
Il gruppo «ribelle», se così si può definire nella pax di palazzo Madama, è nato inoltre senza la punta, senza l'uomo forte, il sottosegretario alla Funzione pubblica Andrea Augello, la cui defezione ha indebolito parecchio il gruppetto degli scissionisti. A parte i finti pasdaran e gli scontenti, gli altri hanno aderito per la vecchia amicizia con Fini: De Angelis, Digilio, lo stesso sottosegretario al Welfare Pasquale Viespoli, che rivestirà il ruolo di capogruppo dei dieci, ma che sinora è stato impegnassimo nel suo ruolo di governo. La generica amicizia è però un motivo un po’ debole, si fa notare nel Pdl, in uno scontro che potrebbe essere decisivo, ossia il probabile voto di fiducia a settembre sui cinque punti principali del programma di governo.

L’amicizia potrebbe allora contare meno della fedeltà alla maggioranza cui si appartiene. E allora gli indiani, uno alla volta, potrebbero lasciare Fini con eleganza e trascinare, magari, sulla via della pace, anche i finiani «colombe» di Montecitorio.

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