Roma - Il Fli è appeso a un filo. Dopo la batosta dello scorso 14 dicembre, quando la mozione di sfiducia al governo Berlusconi targata Fini venne bocciata anche alla Camera, tra le truppe del presidente della Camera continuano i mal di pancia. L’ultimo caso è scoppiato ieri, con i boatos che danno il finiano Giuseppe Menardi pronto a dire addio a Gianfranco. Lui e un altro collega di Palazzo Madama. Una bella gatta da pelare visto che in Senato, perdendo soltanto una pedina, il gruppo di Futuro e libertà si scioglierebbe come neve al sole. Il numero minimo per tenere insieme un plotoncino di fedelissimi, in Senato, infatti è dieci. Se non si raggiungesse più quella cifra addio gruppo, addio quattrini per tenere in piedi la macchina burocratica che sta alle spalle dei parlamentari, addio soldi per l’ufficio stampa, la segreteria e tutto il resto. I finiani confluirebbero nel Gruppo misto. Insomma, una bega dal punto vista gestionale oltre che, chiaramente, da quello politico. Sì, perché l’immagine del Fli sarebbe assimilabile a quella di una zattera da cui si cerca di scappare prima del naufragio definitivo. E poi, perso il gruppo, si rimescolerebbero le carte nelle commissioni e i fillini rischierebbero di non essere più determinanti. Presumibile che lo sfaldamento del gruppo possa avere ripercussioni sulla presidenza della commissione Finanze di palazzo Madama assegnata al finiano Mario Baldassarri.
Il possibile transfuga, il senatore Menardi, smentisce a metà il suo commiato: «Io che esco dal gruppo di Fli al Senato? Non mi risulta. Non lascio e non commento le indiscrezioni». E ancora: «Stamattina (ieri, ndr) c’è stata una riunione del gruppo dove ho espresso la mia posizione, tutto qui. In ogni caso, qualsiasi cosa io dica so che verrebbe strumentalizzata». Una dichiarazione che non nasconde un certo malessere nei confronti della strategia adottata da Fini. Ma qualcuno fa risalire il malcontento di Menardi a questioni prettamente locali. Il senatore cuneese, infatti, s’è di fatto sentito scavalcato dall’onorevole vercellese Roberto Rosso. Il quale, per aver abbandonato il Pdl, è stato premiato con la qualifica di coordinatore regionale del Piemonte per il Fli, mandando su tutte le furie il senatore.
Le indiscrezioni relative ad altre defezioni tra i finiani a palazzo Madama in ogni caso proseguono e riguardano, oltre Menardi, un altro collega. Top secret il nome, anche se in molti giurano che potrebbe essere Francesco Pontone, da sempre scettico sulla strada intrapresa da Fini. Alla Camera i finiani fanno testuggine: «Perdere altri pezzi? Macché. Quello che dovevamo perdere l’abbiamo perso nel momento più critico, ossia alla vigilia del voto di sfiducia al governo Berlusconi. Non ci saranno altre defezioni», giura un anonimo finiano. Un altro ammette: «È vero che qualcuno di noi, penso a Luca Bellotti e Carmine Patarino, abbiano fatto fatica a sparare contro il governo lo scorso dicembre, ma evidenziare i mal di pancia proprio adesso, che il clima con il Pdl sembra molto più soft, francamente mi sfugge». Un terzo invece implicitamente ammette il rischio smottamento: «Ne perdiamo altri due? Pazienza, tanto siamo pronti a sostituirli con altri arrivi». Insomma, l’esercito finiano resta ancor a rischio defezioni.
Determinante è il ruolo di Silvano Moffa, mediatore dei mediatori nello scontro Fli-Pdl che fino all’ultimo ha cercato di evitare lo strappo con Berlusconi e, non essendoci riuscito, ha fatto le valigie assieme a Catone, Polidori e Siliquini. Ora è uno dei registi del nuovo gruppo di responsabilità che dovrebbe nascere alla Camera in settimana, assieme a Saverio Romano e Francesco Pionati, e di fatto fa da calamita nei confronti dei finiani più scettici. Lui sembra essere diventato il nemico numero uno dei suoi vecchi compagni di viaggio perché in grado di far breccia tra le truppe del presidente della Camera.
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