Fmi: è di 4.100 miliardi il costo della crisi per la finanza mondiale

nostro inviato a Washington

Il costo globale della crisi, per le banche e le altre istituzioni finanziarie, potrebbe arrivare a oltre 4mila miliardi di dollari. Lo stima il Fondo monetario internazionale nell'ultima edizione del «Global financial stability report» resa nota ieri. Il 61% di questa cifra fa capo alle banche, il resto ad assicurazioni, fondi pensione ed altre istituzioni finanziarie. I 4.100 miliardi di dollari rappresentano una stima, precisa il Fmi, e comprendono sia le svalutazioni effettive - un terzo del totale - che quelle potenziali. È la prima volta che il Fondo effettua una valutazione globale, comprendendo gli asset tossici di origine europea e nipponica. La stima riguardante gli asset tossici originati da banche e istituzioni finanziarie americane, è giunta a 2.700 miliardi, contro i 2.200 del gennaio scorso e i 1.400 miliardi dell'ottobre 2008. La valutazione iniziale, fatta un anno fa, era inferiore ai mille miliardi.
Per le banche europee, prosegue il Rapporto, la svalutazione di titoli e prestiti fra il 2007 e il 2010 potrebbe toccare quota 737 miliardi, contro gli oltre 1.600 miliardi delle banche americane. «Naturalmente se la ripresa economica sarà migliore di quanto previsto attualmente potremmo ridurre le stime», spiega il nuovo direttore del mercato dei capitali del Fmi, Jose Vinals, sottolineando come le banche americane siano «a metà strada nel riconoscere le perdite mentre l'Europa è un po' indietro». Ma è necessario, aggiunge, che l'azione anti-crisi vada avanti con decisione per «rafforzare questi primi segnali di miglioramento».
Il Fondo fa anche un riassunto delle perdite già contabilizzate, e di quelle potenziali, in Usa, Europa e Regno Unito. Le banche americane, prime ad agire, hanno effettuato svalutazioni per 510 miliardi, e ne potrebbero subire per altri 550 miliardi nel 2009-2010. Le europee hanno svalutato per 154 miliardi, e si trovano davanti a altri 750 miliardi potenziali fino al 2010. Le banche inglesi hanno svalutato per 110 miliardi, e potrebbero cancellarne altri 200 entro il 2010. La posizione delle banche europee è fortemente condizionata dalla situazione nei Paesi emergenti dell'Est. Il deterioramento delle condizioni finanziarie nelle sussidiarie est-europee influenza negativamente la posizione e la liquidità delle «case madri», concentrate in Austria, Belgio, Germania, Italia e Svezia. È tuttavia anche vero, osserva Vinals, che negli ultimi tempi anche la situazione nell'Est Europa appare «migliorata».
La crisi finanziaria, sommata a quella economica, produce ovvi effetti negativi sul debito pubblico dei principali Paesi industriali. Secondo i calcoli del Fmi, nel 2010 il debito italiano salirà al 121% del Pil (+15 punti percentuali) con un costo della stabilizzazione finanziaria calcolata in 0,9 punti. I costi della crisi faranno aumentare il debito pubblico di 15 punti in Francia, 19 punti in Germania, di 27 punti negli Usa e di 30 punti in Giappone. Nell'ultimo programma di stabilità italiano approvato dalla Ue, si prevede un rapporto debito-pil del 112% a fine 2010.
Intanto, va avanti il piano anticrisi deciso al vertice londinese del G20. Il presidente Usa Barack Obama ha chiesto al Congresso uno stanziamento da 100 miliardi da destinare al Fmi, affiancandosi così ai 100 miliardi stanziati sia dal Giappone sia dall'Unione europea.

Sempre davanti al Congresso, il segretario al Tesoro Tim Geithner ha detto che sono ancora disponibili 134,6 miliardi degli oltre 700 stanziati per il salvataggio delle banche, aggiungendo che «la grande maggioranza delle banche ha più capitale del necessario». Anche secondo Geithner, stanno emergendo «segnali di miglioramento nei mercati e indicazioni di ritorno alla fiducia».

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