Follia nordcoreana: «Pronti alla guerra atomica»

La guerra nucleare? Mentre leggete queste righe potrebbe essere già scoppiata. Così almeno tenta di farci credere il regime comunista della Corea del Nord che da ieri minaccia di rispondere con la “deterrenza nucleare” ai quattro giorni di manovre aeronavali organizzate, a partire da questo pomeriggio, da Stati Uniti e Corea del Sud. Ma dietro le sparate di Pyongyang si nasconde forse qualcos’altro. Forse all’ombra della tensione salita alle stelle Kim Jong Il e i suoi generali cercano di portare a termine una difficile transizione e passare la guida del timone a Kim Jong Un, il terzogenito del “Caro (ma malaticcio) Leader” destinato, secondo fonti d’intelligence americane a guidare il Paese già dal prossimo settembre.
Fin qui l’unica certezza restano comunque quelle minacce diffuse con gran clamore dall’agenzia di stato nord coreana al termine di una riunione della Commissione di Difesa presieduta proprio da Kim Jong Il. «L’esercito e il popolo della Corea del Nord utilizzeranno legittimamente il potente deterrente nucleare per opporsi alle più grandi manovre di guerra mai organizzate dagli Stati Uniti e dalle loro marionette del Sud... tutte queste azioni di guerra sono pure provocazioni mirate a zittire la Repubblica Popolare democratica della Corea», recita il comunicato della commissione minacciando di «avviare non appena necessario la sacra rappresaglia basata sul deterrente nucleare». Gli americani fin qui non sembrano scomporsi troppo. «Non siamo interessati ad una guerra di parole con la Corea del Nord: ci aspettiamo un linguaggio meno provocatorio e atteggiamenti più costruttivi», ripete il portavoce del Dipartimento di Stato Philip Crowley. Washington fa inoltre notare come altre volte in passato il regime di Pyongyang abbia risposto con la minaccia di guerra totale a semplici manovre navali.
Stavolta però anche il più ottimista degli osservatori non può ignorare il clima di estrema tensione che accompagna le operazioni nel Mar del Giappone. Quel clima dura ormai da quattro mesi. Tutto inizia il 26 marzo con l’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan colpita - secondo quanto sostengono Washington e Seul - da un siluro di Pyongyang. La dimostrazione di forza della durata di 4 giorni organizzata davanti alle coste nordcoreane è la prima diretta risposta a quell’attacco, costato la vita a 46 marinai del Sud. Ma l’affondamento della Cheonan è anche l’incidente più grave dall’armistizio del 1953 e dunque le manovre vengono calibrate con la debita proporzione. Da oggi pomeriggio nel Mare del Giappone entreranno in azione una ventina fra navi e sommergibili guidati dalla portaerei nucleare Uss George Washington. La flotta con a bordo oltre 8mila militari e appoggiata da più di 200 aerei è stata definita dal segretario di Stato Hillary Clinton «un messaggio in risposta alla condotta aggressiva contro il Sud». Una risposta preceduta dalle nuove sanzioni americane ed europee destinate a colpire i conti bancari esteri utilizzati da Pyongyang per la compravendita di armi e componenti nucleari.
L’altro lato della medaglia, assai più oscuro, su cui si interrogano le principali agenzie d’intelligence riguarda la situazione interna della Corea del Nord. La recente fucilazione a Pyongyang di tre alti funzionari, tra cui un responsabile dei negoziati con la Corea del Sud e due alti responsabili economici, sarebbe il segnale del complesso e violento regolamento di conti che accompagna il tentativo del Caro Leader di affidare la guida del Paese al terzogenito Kim Jong Un. Quella successione sarebbe ostacolata da un gruppo di generali e funzionari di partito poco disponibili ad accettare il volere di un erede semisconosciuto e non ancora trentenne.

Kim Jong Il, consapevole di non aver più molto tempo davanti, tenterebbe invece di utilizzare la minaccia statunitense per creare un clima d’emergenza nazionale e gestire con l’appoggio dei generali più fedeli la complessa e rischiosa transizione.

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