Fonsai, Arpe esce allo scoperto e con Palladio arriva all’8%

Accordo di consultazione tra Sator (al 3%) e la finanziaria veneta (5%) per la ricapitalizzazione della società. È l’alternativa a Mediobanca-Unipol

Fonsai, Arpe esce allo scoperto e con Palladio arriva all’8%

Dopo una settimana di indiscrezioni, ieri sono venuti allo scoperto gli «scalatori» di Fonsai: la Sator di Matteo Arpe, accreditata già da qualche giorno come azionista di peso, ha comunicato di avere il 3,01%; mentre Palladio Finanziaria, che già aveva dichiarato il 2,25%, ha più che raddoppiato, arrivando al 5%. I due gruppi hanno inoltre comunicato di aver sottoscritto un «patto di consultazione» che «non prevede alcuna intesa o obbligo in merito all’esercizio dei diritti di voto», ma si fonda «sul comune interesse a sostenere il piano di ricapitalizzazione dell’emittente», che, come noto, richiede 1,1 miliardi. Il punto è capire dove Arpe e l’ad di Palladio Roberto Meneguzzo, che si sono visti anche ieri, vogliono arrivare. Di certo ora sono liberi di salire il primo al 5, il secondo al 10% senza dare altre comunicazioni.
Il loro intervento è amichevole. Può sembrare una provocazione, vista l’irritazione che ha generato in Mediobanca. Ma il senso dell’«amicizia» è riferito alla società oggetto degli acquisti, cioè a Fonsai, vero e unico obiettivo. E ai suoi azionisti. È a questo passaggio che bisogna prestare attenzione se si vuole capire l’iniziativa. Perché partendo dal presupposto che Fonsai è in crisi e necessita di 1,1 miliardi di capitale per ristabilire i margini di solvibilità, il suo salvataggio può essere studiato da diversi punti di vista. Quello di Mediobanca e Unicredit è basato sulla salvaguardia dei propri crediti: per Piazzetta Cuccia sono 1.050 milioni a Fonsai (ancorché in sicurezza in qualunque modo venga salvata la compagnia), per Unicredit 340 milioni in Premafin, la holding dei Ligresti che controlla il 35% della compagnia. Chiamando in soccorso Unipol per la ricapitalizzazione di Fonsai e poi per la fusione, Mediobanca mette al sicuro anche i 400 milioni di esposizione con il gruppo bolognese. Infine, in questo modo, rimane sotto controllo anche il 5% della stessa Mediobanca, che sta nella pancia di Fonsai. Questa è, a grandi linee, l’operazione studiata da Alberto Nagel con Piergiorgio Peluso, l’ex manager di Unicredit mandato a fare il dg di Fonsai. A fronte, naturalmente, del progetto industriale della nascita di una nuova mega compagnia.
Il ragionamento di Meneguzzo e Arpe è invece un altro: bisogna salvare Fonsai? Allora occupiamoci solo di Fonsai, compagnia che, se ben gestita, può riprendersi e tornare a creare valore. Salviamo le società e non i debiti: questo potrebbe essere lo slogan. Come? Un intervento diretto che può portare in varie direzioni. La prima, per esempio, potrebbe essere il lancio di un’Opa sul 30% della compagnia. Un’operazione dal costo contenuto entro i 150-200 milioni. A cui far seguire la ricapitalizzazione la cui quota parte costerebbe altri 330 milioni: non è vero che per Arpe - che con Profilo dispone di 200 milioni pronta cassa sui 400 di disponibilità totale, più altri 50 liquidi in Sator - e per Palladio (200 milioni di liquidità) si tratterebbe di impresa impossibile. Anche perché, oltre alle risorse cash, vanno aggiunte le disponibilità dei co-investitori che i due soggetti sarebbero in grado di aggregare. In ogni caso la presenza forte di investitori nel capitale di Fonsai rappresenta un segnale forte per chi intenda partecipare a un’operazione rivolta solo al «piano di sotto», e senza il coinvolgimento di Unipol, nella convinzione che sia questa la soluzione migliore per assicurati e soci.


Secondo altre voci di mercato, i nuovi investitori alternativi a Mediobanca punterebbero invece a uno spezzatino. O sul fronte immobiliare, o su quello di asset assicurativi. Ma al momento manca qualunque indizio. Si vedrà.

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