Fontana, le magie della laguna rivivono fra i grattacieli di New York

Palazzo Grassi, 1961: alla mostra «Arte e Contemplazione», Lucio Fontana, maestro osannato dalle giovani generazioni d’avanguardia per la radicalità della sua ricerca, espone opere sfarzose, eccessive, tutto considerato didascaliche e non pienamente riuscite. Questo, al tempo, il dolente avviso del critico veneziano Toni Toniato. Si tratta di tele a olio quadrate (150 X 150) dal forte impatto sensoriale sopra le quali, per l’abbondanza e la ricchezza della pasta pittorica, colore e materia diventano tutt’uno. Sono presenti buchi e piccoli tagli, sempre leggeri, sempre percorsi da vibrazioni e riverberi, che seguono andamenti sinuosi, ondulatori, che rimandano per analogia ai mosaici, alle linee dell’acqua, alle chiese della laguna. Una sensualità cremosa, una sorta di speculazione carnale della materia, coerenti alla ricerca che l’artista sta parallelamente sviluppando nella serie degli Olii o nelle famose sculture a baccello, le Nature, anch’esse presenti in quell’occasione a Palazzo Grassi.
L’opulento impiego dei timbri cromatici, spesso arricchiti dalle inserzioni vetrose della vicina Murano, rappresentano un’ulteriore esplicazione di quella attenzione verso il decorativismo, la ricchezza, il movimento, la creatività dello spirito barocco. Le Venezie, grazie all’interessamento di Michel Tapié, vengono esposte da Martha Jackson a quella che sarà la prima personale a New York dell’artista. Il viaggio nella Grande Mela impressiona Fontana: la tecnologia, la verticalità dell’architettura, il futuro annunciato, tutto risulta stimolante per una nuova serie, i Metalli. Le dimensioni privilegiano ora la longitudinalità delle lastre, realizzate in alluminio, ottone o rame, solcate tuttavia da squarci, fenditure massive, profonde. I tagli non hanno più la valenza decorativa e leggiadra dell’esperienza veneziana ma sono come ferite, aprendosi nella lamiera con forza. Così come le Venezie erano opere ritenute fin troppo eleganti e decorative, la serie New York si rivela aspra, tagliente, elettrica, senza compromessi.
A 45 anni da quella fortunata stagione, la Peggy Guggenheim Foundation di Venezia presenta «Lucio Fontana. Venezia/New York» (fino a domenica prossima) rassegna che, ospitando le due serie e abbracciando un intero ventennio creativo, affianca in un confronto serrato queste opere a quelle che, pur successive, a vario titolo a esse possono rifarsi. Ancora una volta protagonista è la luce (interessanti per un ideale raffronto l’opera Concetto spaziale. Venezia era tutta d’oro del 1961 e Concetto spaziale.

New York 10 del 1962). Ancora una volta è l’energia imbrigliata nella materia che per tutta la lunga stagione creativa Fontana aveva costantemente interrogato, a farsi testimone dominante di questa felice fase di ricerca.

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