Indianapolis - Una lezione di Formula 1. Nell’aula magna di Indianapolis, professor Ron Dennis, gran capo della McLaren, e gli allievi secchioni e prediletti Lewis Hamilton e Fernando Alonso hanno insegnato a tutti che ci possono essere miliardi in ballo, ci possono essere vistosi interessi in palio, eppure anche la patinata e politica formula uno sa ragionare con gli attributi. Piloti, dunque, liberi di darsele di santa ragione, il tutto nobilitato da un corollario di gerarchie annullate dove il debuttante baciato dalla dea delle corse è libero di tagliare un poco la strada e di tirare la staccata al compagno due volte campione del mondo. Finalmente un balletto stile Senna e Prost, dove Alonso interpreta il francese ed Hamilton il brasiliano. Tanto più che ad unire le due coppie separate da venti anni di corse, c’è un comune denominatore chiamato McLaren. La macchina, il team, la sua filosofia.
Seconda vittoria di fila per Lewis e quinto, indigesto, podio per il campione del mondo, secondo. Le Ferrari dietro, terza e quarta, con Massa e Raikkonen a limitare i danni e a pensare a come diavolo recuperare. Perché la prova del nove era Indy, la pista da sempre amica e ora traditrice; perché se batosta è stata sul circuito prediletto chissà che cosa potrà essere quando si tornerà in Europa; perché, per dirla con Felipe, «adesso dobbiamo stringerci tutti, fare quadrato fra noi e lavorare, lavorare, dobbiamo assolutamente recuperare». Altrimenti addio sogni mondiali. Perché Massa ha fatto gara intelligente, evitando inutili rischi, però mai ha impensierito le due McLaren; perché Raikkonen ha centrato il giro veloce ma, prima, quanti tormenti: passino le gomme dure usate al via (da qui la perdita di due posizioni) perché non ne aveva più di morbide, ma la gara è stata comunque affannosa.
Fatto sta, mentre gli uomini rosso vestiti patiscono, nel team d’Oltre Manica si gongola e si tira un sospiro di sollievo dopo che patron Dennis, ieri mattina, aveva rivelato che avrebbe lasciato i piloti totalmente liberi di decidere come duellare: «Finché non succederà qualcosa, io non interverrò… mi fido della professionalità e dell’intesa dei miei ragazzi. Per questo, anche in linea con i valori della squadra, ho deciso di lasciarli combattere». Per incoscienza o incondizionata fiducia in un modo di concepire le corse, l‘ostico patron inglese ci ha così regalato una sfida ad alta tensione. Tanto più che Lewis e Fernando hanno deciso di darsele di santa ragione, sprizzando tensione da tutti i pori. Fra i due il gelo anche nel box.
Hamilton dirà: «Il sogno continua, siamo davvero troppo competitivi… ringrazio di nuovo mio padre, la famiglia, Dio e il team. Fernando mi ha dato tanta pressione, però sapevo che mi sarebbe bastato mantenere quel piccolo vantaggio. E non ho avuto problemi a tenere il mio ritmo. Non avrei mai pensato di fare una doppietta e adesso non vorrei pensare al mondiale, vorrei continuare a tenere i piedi per terra, a far punti, però sono obbligato». E sui due attacchi dello spagnolo, il primo alla staccata dopo il via, il secondo al giro 48, quando se l’è trovato a un decimo: «Sul rettilineo a 300 all’ora è stato incredibile, ci siamo anche guardati, ma siamo stati leali, non ho fatto scorrettezze». «Sì – interviene Alonso – non so dalla tv, ma dalla macchina mi è sembrato che non si sia spostato molto …». Quindi con un grande sospiro: «Ci ho provato, ci provo sempre, ma quando insegui perdi prestazioni.
Ormai conta soprattutto la prima curva, però qui non volevo buttar via tutto come in Canada… In fondo, otto punti sono meglio di zero e il mondiale è lungo. Però lo confesso: non avrei mai immaginato di trovarmi a lottare per il titolo con il mio compagno debuttante».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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