Forza Paperino Badoer, oggi l’Italia guida con te

I suoi problemi sono il piede e il cognome. Perché dita, punta e tallone non sono pesanti come quelli dei piloti a tempo pieno e perché Badoer più che un cognome pare un acronimo, più che un italiano un tedesco di Stuttgart.
Per questo Luca è ultimo a Valencia, è ultimo nella grande occasione della vita, ultimo nei pensieri e sogni e scommesse degli italiani. Però è primo nei nostri cuori come un precario che buttà lì sei numeri e vince al Superenalotto. Questo veneto ironico e gentile rimasto senza avversari per oltre dieci anni non per manifesta superiorità ma perché imprigionato nella galera dei collaudi Ferrari, è uscito dalla ricevitoria della vita stringendo in pugno il volante della Rossa come fosse la schedina vincente. «Comunque vada», ha raccontato dopo l’improvviso forfait di Schumi, «ho centrato la sestina...».
Il ragazzone di Montebelluna fa invidia e tenerezza. Sbaglia chi ha già caricato il revolver per impallinarlo. I sogni degli italiani sono molti, due soli però svettano sugli altri, due soli ci guidano come stelle comete nella vita un po’ così, magari sottotono, forse senza acuti, certamente normale. Vincere una grande somma è il primo; e porre le preziose natiche su una Ferrari, una volta sola, giusto per un attimo, è il secondo. E Luca, il suo attimo, lo sta godendo, quasi andasse inconsciamente piano per assaporarlo più a lungo possibile.
Luca non va impallinato perché alzi la mano chi non vorrebbe essere al suo posto, e perché è italiano, è precario, è anonimo nella sua carriera e nel viso, nello sguardo e negli occhi, persino nelle frasi. È come la gran parte di noi.
Fa invidia e tenerezza Luca, e fa rabbia ai tifosi del Cavallino che non capiscono quanta correttezza e riconoscenza abbia dimostrato la Ferrari nel scegliere il suo vecchio collaudatore per premiarlo dopo una vita spesa a sgasare nella campagna emiliana, mica a Montecarlo. Tifosi gente appassionata e in buonafede che neppure sanno quale sia l’espressione di gioia stampata sul viso degli inglesi quando vince Hamilton, degli spagnoli quando trionfa Alonso. Si dice che la Ferrari c’è e i piloti vanno. Vero. Ma vero anche che se corre o vince l’uomo è più romantico e se poi l’homo è italicus ci si frulla tutti tra fierezza e apprensione, tra sfiga e aspirazioni perché la Rossa si concede con il contagocce ai suoi fratelli.
«Ma chi te l’ha fatto fare?» domandavano ieri a quell’acronimo di un Badoer. «Vedrete», sussurrava lui, «al prossimo Gp andrà meglio, però qui me l’aspettavo». Pareva la difesa di un uomo umiliato. Non era così. Erano le parole di un trentottenne tornato ragazzino che vorrebbe dire altro e urlare ma che diavolo vi aspettavate? Sono dieci anni che non scendo in gara, però la Ferrari oggi è mia, e sono felice comunque... Invece, dopo l’ultimo posto in griglia, gli è toccato affrontare il plotone d’esecuzione e la raffica di domande incattivite. «Eh, sì, non guidavo la Ferrari da sei mesi», aveva detto giovedì; «eh, sì, non la guidavo da otto», aveva detto venerdì; «eh, sì, erano ben dieci mesi... », ha detto ieri.
Luca Paperino Badoer che non sa cosa rispondere, che allunga l’astinenza dal sedile Ferrari per attenuare le colpe, Luca che vorrebbe parlare poco mentre cerca di riscuotere la vincita al Superenalotto senza darlo troppo a vedere, sennò il fisco, sennò mi toccherebbe correre un’intera stagione, e poi il sogno mi va già bene così. Luca Paperino Badoer che doveva concludere il campionato in attesa di Felipe Massa ma che i tifosi vorrebbero spedire in un’altra galassia pur di vederlo lontano, pur di far strada a Schumi e al suo collo scricchiolante.

Tifosi che non sanno che il più italiano degli italiani finiti sulla Ferrari è un vincente vero. Non sanno che i perdenti sono loro, perché i sogni, se non li afferri subito, non tornano al prossimo Gran premio. I sogni, quelli troppo grandi, non tornano più.

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