Forza Silvio, adesso vai all’attacco

Se per attuare le riforme il Cav aspetta il momento ideale non le farà mai. Lui ripete che non lo lasciano lavorare: l’opposizione lo attacca, i giudici lo sfiancano. Glielo concediamo. Non è però una scusa per fermarsi ma un motivo per andare avanti. In politica, come in guerra, si combatte tra gli agguati. Solo a battaglia vinta torna il quieto vivere. Il Cav, talvolta, ribalta i termini. Dice: ho le migliori intenzioni, datemi modo di mostrarvelo, l'opposizione stia calma e la magistratura mi lasci stare finché governo. Poi aspetta la bonaccia per realizzare il programma.
Caro Cav, l'Eden non è di questo mondo. Un comandante non si illude che il nemico si ritiri ma usa tutta la sua energia per costringerlo alla resa. È l'azione che conduce alla pace, non il contrario. Se lei pone la concordia universale come condizione per sviluppare la sua strategia, esaurirà il mandato stringendo un pugno di mosche. È già in ritardo.
L'opposizione non ci sta a fare le riforme condivise? Faccia da sé. Ha i numeri, la legittimità, le idee. Basta e avanza. Se nonostante questo tentenna, è a lei che si rinfaccerà di avere fallito, non agli avversari che si sono rifiutati di darle una mano. Sarà lei a non avere fatto il suo mestiere, non loro. È lei che deluderà chi l'ha votata sancendo il trionfo di Bersani che avrà invece assolto il compito che il suo elettorato gli ha affidato: metterle i bastoni tra le ruote e ridicolizzare il centrodestra.
Ho letto lo stralcio sulla Giustizia che il Giornale ha pubblicato traendolo dal Libro bianco elettorale del Pdl, «Il governo del fare, maggio 2008-marzo 2009». Non ho trovato traccia delle riforme fondamentali. Non ho capito se ci sarà e come sarà articolata la separazione delle carriere tra giudici e Pm. È come se il governo temesse di inimicarsi la magistratura dicendo con chiarezza ciò che vuole. Ma di che ha paura? I giudici fanno già adesso tutto e di più. Più il governo è timido, più si ringalluzziscono. Le intercettazioni impazzano, le accuse più strampalate piovono come acquazzoni estivi, il Csm non rispetta l'ambito dei poteri, l'Anm sciopera contro il Parlamento, le toghe boicottano l'inaugurazione dell'anno giudiziario, le Procure si indagano tra loro, le indiscrezioni escono dai tribunali come susine dai mercati generali, la dignità dei cittadini è calpestata, il carcere preventivo è usato per estorcere la confessione come ai tempi di Tangentopoli (che fine ha fatto Silvio Scaglia, l'ex manager di Fastweb?). È l'anarchia, un carnevale permanente. Ma se il governo e la maggioranza parlamentare vacillano chi è che difende noi da questo casino?
Non ho nemmeno sentito parlare di ripristinare la responsabilità civile dei magistrati sancita a furor di popolo da un referendum. Unici tra tutti noi, i giudici possono commettere errori atroci e passarla liscia. Anzi, una legislazione infame gli garantisce l'impunità assoluta se sbattono in galera un innocente, scatti di carriera per avere riscaldato la sedia, miglioramenti economici automatici. Enzo Tortora è morto per il dolore, i suoi carcerieri sono stati promossi. Calogero Mannino si è fatto tre anni di carcere e ha perso trenta chili prima di essere assolto. Il suo accusatore, Giancarlo Caselli, è un nume intoccabile. De Magistris, che non ne ha azzeccata una, ha fatto una disinvolta piroetta in politica e ora vuole coinvolgere il Papa nella accuse di pedofilia.
Nessuno espia, tutti si impancano, pronti a rifare quelli che eufemisticamente si chiamano errori. In realtà, orrori dell'uomo sull'uomo. Se il governo vuole dare una svolta alla giustizia, gli automatismi vanno aboliti. Chi sbaglia paga, chi insiste va cacciato. Lo stipendio e la carriera del giudice devono essere ancorati al merito come per chiunque di noi. Imporlo è compito del centrodestra. Questo è il coraggio che i cittadini chiedono al governo. Urleranno che il Cav vuole mettere la mordacchia e togliere serenità ai magistrati. Lasciateli sbraitare. La loro è impudicizia. Lo fanno per mantenere un privilegio che nessuno a questo mondo dovrebbe avere. I medici hanno un mestiere ancora più rischioso ma se ti mandano al creatore per imperizia, distrazione, iella, risarciscono, vanno in galera, sono cacciati. Altrettanto deve accadere alle toghe e vedrete che, toccate nel portafoglio e nella carriera, gli «errori» diminuiranno all'istante. È l'occasione che fa l'uomo ladro. Spazzatela via e riavremo giudici, anziché padreterni.
Questa, Cavaliere, è la posta in gioco. Anziché cincischiare, gli dia sotto. Non si lasci distrarre dai tribunali di Trani, di Bari e compagnia. Non si lamenti ogni volta come se ce l'avessero solo con lei. Non è così. Le ricordo che sono intervenuti a gamba tesa anche contro Prodi. Anzi, che il suo governo è caduto per l'ingiusta incriminazione del suo Guardasigilli, Clemente Mastella, da parte di un magistrato che, addirittura, non aveva la competenza per farlo. E poi la smetta di prendersela con le toghe per partito preso. È vero che per quanto riguarda lei personalmente c'è accanimento ma siamo sicuri che abbiano sbagliato anche a rigettare la lista elettorale di Renata Polverini? Se la legge dice che deve essere presentata per le 12 e il Pdl la porta in ritardo che altro potevano fare? Non toccava a loro togliere le castagne dal fuoco ma alla politica. Invece, avete tutti ruggito senza ascoltarvi e vi siete dati la zappa sui piedi. Non solo il Pdl ma anche il Pd che, se vince, vince male e ne risentirà governando.
Ora si butti a testa bassa nelle riforme, dalla Giustizia, al Fisco, alla modernizzazione dello Stato. Se lei lascia un vuoto, lo riempiranno Bersani e le toghe. Se riuscirà a rintuzzare loro, c'è sempre Fini che vorrà romperle le uova nel paniere. È ambizioso, isolato, non sa bene quello che vuole. Se la vede sulla difensiva, tergiversante, con le mani in mano, fiuta il sangue e si mette di traverso.

Ma se lei opera, propone, porta a termine, non oserà. Si metterà anche lui al vento della barca che corre e cercherà la sua parte di gloria con gli altri dell'equipaggio.
È una vecchia regola: niente come il successo garantisce al capo la fedeltà della truppa.

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