Su una cosa hanno ragione, «alla sua fine ha assistito tutto il mondo». E ora però tutto il mondo potrà guardarla, osservarla con la lente di ingrandimento, quella morte. Lady D in agonia, la testa reclinata, i capelli biondi immobili, lei risucchiata nella carcassa di quell’auto che si è sgretolata nel tunnel dell’Alma. È una vita che si frantuma un’altra volta, cento, mille, un milione di volte, tante quante ogni sguardo che finisce su quella foto, Lady Diana che muore, di nuovo, sotto gli occhi di chi non può non sobbalzare. Il trailer di Unlawful Killing, il film documentario sulle ultime ore di vita della principessa che sarà presentato venerdì a Cannes, dice così, che «della sua fine tutti sono stati testimoni». È vero, ma fino a un certo punto: perché un conto è leggere, ascoltare, vedere le immagini dell’auto accartocciata o della bara al funerale, un altro è vedere la morte, in bianco e nero, e la fine di un mito.
Sembra quasi addormentata, Lady D, una bambina innocente accoccolata sul sedile, non disturbatemi per favore. E invece no. Sono passati quasi quattordici anni dall’incidente di Parigi e tanti non si rassegnano a lasciare un’icona così amata e redditizia nell’oblio: la bambina va risvegliata per forza, diventa anche protagonista di un film che già fa scandalo e quindi pubblicità. Dicono che i principi William e Harry non vogliano commentare per non sponsorizzare la pellicola, nemmeno indirettamente. Nessuno sa se le abbiano viste, quelle foto, che in realtà furono già mostrate in passato, durante il processo e su una rivista italiana (Chi le pubblicò nel 2006, con grande polemica). Ma in aula il volto della principessa del popolo era stato coperto dai pixel, tanti puntini per rendere la sofferenza un po’ sgranata, il colpo più attutito.
Del resto è così che si difende il regista Keith Allen: tutta roba già vista, che circolava su internet. Però quelle foto non erano mai state mostrate ufficialmente in Gran Bretagna, e invece ora spuntano fra una scena e l’altra del trailer del suo film, fra un flash, un’immagine del tunnel, una dei soccorsi, una luccicante di Lady D. Sarà anche una «inchiesta sull’inchiesta», come Allen ha definito il suo documentario, ma tutta quella sequenza è soprattutto ansia. Un portavoce di William e Harry ha detto che i principi «sperano che la gente tratti tutto ciò col disprezzo che merita». Cioè «fare soldi sulla sua morte», secondo un’amica di Diana. Il regista ha un’idea diversa, sostiene di svelare «la cospirazione dopo la morte» di Diana, quella che avrebbe portato l’establishment britannico per intero a occultare la verità e il verdetto dei giudici, l’Unlawful killing che dà il titolo al film, cioè un omicidio. Ha spiegato che in Gran Bretagna il film subirà 87 tagli «da macellaio» e che è «un peccato»: «Poteva essere un antidoto al coma diabetico dei repubblicani inglesi, in questi tempi di matrimonio reale».
Non è detto che gli antimonarchici chiedano proprio un antidoto del genere. Ma è vero che la morte di Diana porta ancora con sé verità, polemiche e indignazione come succede dal 31 agosto del 1997. Un’inchiesta avrebbe messo un punto, è pure costata agli inglesi dodici milioni di sterline, ha coinvolto duecentocinquanta testimoni, ma la parola fine sarebbe un’altra cosa. Non è semplice, però. E si capisce perché, se basta un’immagine in bianco e nero a sconvolgere mezzo mondo, a suscitare ancora tanto sgomento.
C’è rabbia, pudore, incertezza, pietà. Tristezza, per una morte che non è mai stata privata ma ora è finita addirittura in pubblico. Perché il giudizio spetta ai tribunali, ma fra quei paparazzi che hanno inseguito Diana per le strade di Parigi ce n’è stato uno che poi l’ha pure fotografata mentre è lì, inerme, che muore.
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