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«Fotografiamo il brutto per reinventare il bello»

A caccia di ecomostri e di scempi edilizi. Chi li trova fa scattare l’otturatore della macchina fotografica. Poi spedisce le foto a Nuovo Paesaggio Italiano, in modo che resti testimonianza di come il brutto stia invadendo le nostre città e le nostre campagne. Le immagini una volta selezionate e assemblate diventeranno una mostra itinerante. La prima grande esposizione, un rotolo fotografico di oltre cento metri sarà visibile da oggi sino al 30 ottobre a Suvereto (Livorno) nella cantina Petra. A scegliere le foto che lo compongono Oliviero Toscani, uno dei fotografi più famosi e discussi del mondo. Dopo mesi di progettazione assieme a Salvatore Settis (e con la collaborazione del Fai e il contributo di Terra Moretti e lo sponsor tecnico di Canon) ha lanciato questa iniziativa di denuncia. Ecco come ci racconta questa «prima utile istallazione fotografica di tetre villette, ecomostri squallidi capannoni, mesti condominii... che devastano l’Italia, realizzata da tanti grandi, veri volenterosi fotografi».
Signor Toscani perché fotografare e mettere in mostra le brutture d’Italia?
«Il progetto di Nuovo Paesaggio Italiano è un’idea nata per far in modo che gli italiani non si abituino alle brutture. Quelle paesaggistiche sono le più ovvie ma poi il brutto, a cui ci siamo abituati nella vita di tutti i giorni, dilaga e invade tutto, a partire dalla televisione sino ad arrivare alla violenza. L’architettura è il punto di partenza del bello noi dovremmo tornare al buon governo di Lorenzetti. Non si deve credere a quelle sciocchezze ecologiche del non costruire, bisogna costruire bene. Solo che in Italia per colpa della politica restano solo i brocchi, gli architetti bravi se ne vanno, non ce la fanno a lavorare così».
Cos’è il degrado edilizio? Deriva dalla mancanza di piani regolatori?
«Non solo. Quello che mi fa rabbrividire di più sono le mostruosità autorizzate dai piani regolatori. E mi fanno infuriare anche le cose belle che non si possono fare. Io nel mio comune, Casale Marittimo (Pisa), volevo fare un lavoro di recupero su una mia proprietà. Ho chiamato Peter Zumthor un architetto svizzero pluripremiato e di fama mondiale. Niente, impossibile, è stato fermato da un geometra del comune con in tasca la tessera del partito... Mi ha detto: “Scusa ma non ce la faccio...”. Ma è solo un esempio. Ha visto che mostruosità il palazzo di giustizia di Firenze?».
Veramente no...
«Fa schifo. Qui in Toscana c’è un regime che dura dal ’45 e come tutti i regimi non ha la forza di innovare. Sono ancora fermi alle case con gli archetti... E pensi che stiamo parlando di una regione che ha fama di buon funzionamento... Ma non c’è più il coraggio di innovare. Quando Brunelleschi ha fatto la cupola del duomo era un progetto all’avanguardia, non era prigioniero di vincoli, del geometra del comune... E nel resto d’Italia è uguale o peggio».
Ma se i piani regolatori a volte peggiorano le cose qual è la chiave di volta del cambiamento...
«Secondo me domandare alla gente. Farla guardare attorno. Proprio quello che stiamo facendo con questo progetto fotografico. Guardare e fare fotografie vuol dire avere senso critico. Con una mostra così voglio trasformare gli italiani in delatori del brutto. Guardare criticamente significa levarsi l’abitudine alla passività. Inoltre mandando le foto a www.paesaggiitaliani.it ci consentono di fare un censimento collettivo con l’aiuto del Fai. E tra le altre cose mi fa piacere che a un progetto del genere partecipi un costruttore come Vittorio Moretti. Perché lo ribadisco noi non dobbiamo smettere di fare di costruire. Dobbiamo farlo guidati dal senso del bello...».
E gli italiani come fotografi sono bravi?
«Sì, molto, sono arrivate centinaia e centinaia di foto... Alcuni mi hanno chiesto l’anonimato perché vivono nei posti in cui sono state realizzate le mostruosità che fotografano e non vogliono guai. Io non metto i loro nomi ma per me sono comunque degli eroi e le loro foto saranno ricordate. Perché la vera fotografia è questa, quella che racconta il presente, quella che dà testimonianza. Questa che stiamo facendo per me è un’opera d’arte collettiva».
Lei è famoso per le campagne fatte con le foto shock. Servono?
«Non esistono foto shock, esistono situazioni che ci rifiutiamo di guardare. Una foto che ci obbliga a farlo colpisce e disturba. È una foto che ha un senso».
Qualcuna delle foto arrivate sugli ecomostri l’ha scioccata?
«No. Purtroppo le schifezze che ci circondano le conosco molto bene. Quello che mi sconvolge è che tutti siamo stati costretti a sviluppare dei succhi gastrici che ci consentissero di digerire questa roba... E non solo case, voglio fare una mostra su quelle donne di silicone tutte rifatte, che girano per Milano voglio chiamarla “mostra delle mostre”... Anche quello è degrado».
La Sterpaia è il suo «atelier» creativo quello dove nascono idee come queste.

Cos’ha di diverso da uno studio pubblicitario?
«La Sterpaia lavora come un laboratorio di artisti rinascimentali. Mescola i generi e crea progetti. Prima mettiamo in piedi l’idea e il progetto, poi troviamo qualcuno che lo sponsorizzi. Lavoriamo sopra le linee, non sotto le linee come la pubblicità o il marketing».

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