Franceschini messo all’angolo spera nel partito «Repubblica»

RomaIl fantasma di una rottura clamorosa non lo evoca un peone qualsiasi, ma Piero Fassino. L’ultimo segretario Ds, oggi schierato con Franceschini, accusa gli avversari che fanno capo a Pierluigi Bersani di «minare l’unità del partito».
Ce l’ha con Filippo Penati, coordinatore bersaniano, che celebrando la vittoria annunciata del suo candidato nel voto degli iscritti pd, annuncia che «Franceschini di fatto non è più il segretario». Scatenando un finimondo e costringendo Bersani a smentirlo per calmare le ire del segretario.
Ma è significativo che Fassino alluda addirittura a una scissione nello stesso giorno in cui Francesco Rutelli annuncia che se il Pd diventa solo l’ennesima sigla dei post-Pci il progetto è fallito; e in cui Walter Veltroni, commentando il clamoroso flop della Spd tedesca, spiega che «se il Pd torna a configurarsi come partito socialista classico, magari con l’ambizione di creare una grande coalizione, paga un prezzo molto alto».
C’è un’atmosfera strana, nel principale partito di opposizione. Basta allineare i fatti di ieri per accorgersi che qualcosa si prepara. Che gli sconfitti annunciati (Franceschini, Veltroni, Rutelli) non hanno alcuna intenzione di arrendersi e promettono riscossa alle primarie del 25 ottobre. Che i vincitori annunciati danno segni di nervosismo. E che dietro le quinte della partita Pd potrebbero iniziare a muoversi influenti attori esterni. Tra i consiglieri di Franceschini c’è chi ne parla apertamente, e spiega che se per le primarie scende in campo «il partito di Repubblica» i pronostici possono ribaltarsi: «E la prima prova di piazza del popolo delle primarie sarà la manifestazione del 3 ottobre». Quella voluta da Repubblica, per l’appunto, ma chiesta pubblicamente da Franceschini. Una cosa è certa: a Ezio Mauro un partito a guida Bersani-D’Alema non piace, e lo ha detto chiaro alla Festa Pd: «Bersani ha detto che non bisogna fare antiberlusconismo: vuol dire forse che dobbiamo fare del berlusconismo? A volte mi pare che la gente del Pd e i dirigenti Pd abbiano avversari diversi».
No, Bersani (e D’Alema) non sono i condottieri giusti cui consegnare l’opposizione al Cavaliere: troppo «dialoganti», troppo sospetti di inciucismo. Per dirla con Veltroni, troppo poco «radicali»: «La sinistra tradizionale (ossia i Ds dalemiani, ndr) è stata più moderata del giusto, perché ha bisogno di legittimazione e ha paura di essere radicale».
Ecco allora il canovaccio per le primarie di Franceschini: «Radicalità» e antiberlusconismo forte, sostegno di Repubblica per portare la gente alle urne e sconfiggere il «vecchio apparato» post Ds. E se non bastasse? Il futuro resta aperto. Ma a sentire Rutelli o Veltroni, pare assai difficile che vedano il proprio futuro in un partito dalemian-bersaniano. Rutelli, presentando ieri il suo libro «La svolta, lettera a un partito mai nato», ha detto che «la mia critica al Pd come ultimo partito della sinistra italiana è totale», e che la débâcle socialista in Europa dovrebbe insegnare che «se si torna su quei binari morti, il Pd finisce in deposito». E per il franceschiniano Beppe Fioroni «Rutelli pone un problema vero: quale debba essere il Dna del Pd. Non ci si può rassegnare all’idea che lui, fondatore di questo partito, non lo senta più come casa sua e se ne vada».

Poi l’ex ministro si lancia in metafore bibliche: «Il Pd è come la Terra promessa per l’ebreo errante. Pensavamo di averla finalmente trovata, ma se ci siamo sbagliati bisogna cercare ancora: mi pare che questo dicano Rutelli e Veltroni». E magari pure Ezio Mauro.

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