Francia manolesta col tormentone Henry

Dove ci avevano lasciati? Ah, al rififi di Henry. Anzi, ai calci di rigore di Berlino. Dico dei francesi, i soliti furbi che stavolta sono nei guai. È finita la Belle Epoque, restano coriandoli bagnati del tempo allegro, della finale mondiale, persa contro gli azzurri, risulta un vero grande superstite, proprio Titì Henry di cui sopra che però partirebbe riserva. Contro l’Uruguay, domani sera, partita svolta. I francesi, secondo un sondaggio, non credono che la squadra ce la faccia, soltanto il diciotto per cento scommette sugli allonsenfantsdelapatrie. Perché? Perché Raymond Domenech ne ha fatte più di Carlo in Francia, perché, come il suo sodale finalista Lippi, è a fine pena, dopo il mondiale mollerà la ciurma a Laurent Blanc. Il suo caso è singolare assai: pensate che anche suo fratello Eric, allenatore di una formazione di dilettanti (Ferrières-en-Brie siamo nella zona di Seine-et-Marne) viene preso a fischi e pernacchie: «Ricevo insulti ad ogni partita soltanto perché porto questo cognome».
Come si può capire anche la Francia ha i nostri vizietti. Domenech sa benissimo che si gioca la faccia in via definitiva. La squadra non ha veri leader, anzi non ne ha nessuno pure tra i cosiddetti vip: Ribery, fra questi, ad esempio non passa palloni a Anelka che non gli rivolge la parola. Sul corridoio esterno di sinistra la Francia ha tre giocatori che si pestano i piedi, Evra-Malouda-Ribery e, stando a una battuta di un collega parigino, si spiega così: «Siamo un Paese di sinistra o no?».
In verità c’è poco da ridere. Anche il segretario di Stato, madame Rama Yada, ha censurato la scelta di un hotel a cinque stelle per il ritiro della nazionale a Knysna, con spiaggia privata e jacuzzi in camera, roba da cinquecento e passa euro a notte per persona. Sarkozy non è ancora intervenuto, Carla Bruni nemmeno, ma la situazione è critica, il Paese aspetta domani sera per capire se le foglie sono morte già nel mese di giugno.
Le voci di dentro riferiscono che la squadra spinge perché Henry ritorni titolare, togliendo un posto a Govou ma con lo spostamento di Anelka e di Ribery in posizioni diverse da quelle previste da Domenech. C’è poi una corrente forte che vuole Diaby, centrocampista dell’Arsenal di Wenger, titolare fisso, erede vero di Vieira ma anche in questo caso il responsabile tecnico della nazionale francese ha qualche dubbio, Diaby è buono ma non varrebbe, per lui, né Vieira, né Makelele, insomma i personaggi del centrocampo vicecampione del mondo. Senza contare che rispetto a quattro anni orsono manca all’appello anche tal Zinedine Zidane, scusate se è poco. Fatte queste premesse risulta fastidioso e poco elegante non ricordare come la Francia sia arrivata a questo mondiale. Con quel furto contro Trapattoni e la sua piccola Repubblica d’Irlanda, con quel doppio fallo di mano con successivo gol di Gallas, con le scuse arrivate tuttavia dopo la qualificazione, con la solita figura pilatesca della Fifa che avrebbe potuto fare un bel gesto, consegnando una wild card all’Eire. Niente di tutto questo, Henry è presente, osannato dall’ancien régime, pronto a presentarsi. Sarà il suo ultimo mondiale, così come qualcuno ritiene che si concluderà anche la sua avventura catalana con il Barcellona.
La Francia resta con il fiato sospeso, potrebbe tornare a casa subito. La federazione ha fissato i premi, 100mila euro in caso di qualificazione ai quarti, 150mila per la semifinale e 300mila per la finale.

Non ci crede nessuno e monsieur Escalettes, l’Abete di Francia nel senso di presidente della federcalcio, in fondo è pure contento. C’è la crisi e Nicolas Sarkozy ha già vinto la sua battaglia a Ginevra, con l’assegnazione degli europei del 2016. Per i mondiali alla prossima, non in Sudafrica.

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