Milano - L'assolo dell'unico Cid Campeador ha fatto la differenza di classe e di gol nella partita di tante attese, qualche pretesa e calcio discreto. La Carlitos Way ha segnato la storia, quarto gol stagionale dell'Apache e, ancora una volta, con tanto di peso specifico. Milan-Juve chiude nella logica della classifica ed anche di uno scontro che ha raccontato di una gran Signora e di un Diavoletto intrigante, ma non ancora velenoso. Decimo successo di fila in campionato per i bianconeri, il Milan si ferma dopo sei vittorie interne. C'è tempo per dire dove arriveranno entrambe.
San Siro pieno come si trattasse della partita dell'anno, ma poi meglio tornare alla realtà: al nostro pallone fatto di mezze figure e di mezze partite. Ci vuole un 10 argentino, caratura vecchio stile, per risollevare animi e nobiltà. Ma se Tevez ha chiuso la storia nel finale, c'è voluta quasi mezzora prima di distogliersi da una partita a scacchi tra difese attente, spazi ridotti, pressing iniziale della Juve. Milan un po' più sbarazzino ma niente tiri in porta. Juve assestata sulle sue certezze, Milan inquieto nelle sue sperimentazioni. Vedi Pereyra e pensi: gioca da sempre in questa squadra. Vedi Honda e Menez, El Shaarawy un po' timido e capisci che c'è ancora da lavorare per Inzaghi. Partita chissà mai intavolata sull'onda di un fair play iniziale siglato da Pippo che va a cercare l'Allegri per stringergli la mano.
Sì, certo, ci vuole un po' di tempo per trovare il tipico sangue e arena calcistico. E non a caso arriva quando le difese si aprono un po' e la Juve, prepotente sul piano della personalità del gioco, si lascia sorprendere dallo spuntare in area di Honda che profitta della sbadataggine di Chiellini e Asamoah per prenderci di testa come una silurante, salvo trovare Buffon alla prima respinta da portiere nazionale.
Per la fortuna dello spettacolo, il tintinnio sinistro della testata di Honda sveglia tutti e da quel momento sono occasioni, soprattutto juventine. Il centro area milanista è una ciambella con tanto di buchi e Pereyra penetra come nel burro: una palla a Llorente e sono tremori. Subito dopo lo spagnolo fa da sponda al compagno e Abbiati si ritrova con due salvataggi all'attivo nel giro di due minuti. A quel punto il tam tam calcistico della Juve si fa più deciso, instillato da quel Tevez che gira lontano dall'area, ma anche dal lavoro di gruppo già ben registrato. Ed infatti, ecco spuntare Marchisio: tiro e palo. Dieci minuti nei quali la Juve poteva portare a casa la partita ed, invece, ha solo annusato le occasioni. La legge del pallone in questi casi vuole controreplica ed, infatti, una tipica divagazione made in Chiellini ha concesso il contropiede da timor panico a Menez: reso camomilla dalle mani di Buffon. Buon calcio, se non proprio bel calcio. Comunque una partita più viva, nella quale Rizzoli ha infilato i suoi errori ammonendo Marchisio per un fallo che non c'era e salvando Menez per uno ben peggiore. Poi, proprio un contrasto dubbio tra i due in area non convince Rizzoli a dare il rigore. Arbitro mondiale, ma sempre all'italiana. Molto italiana, vecchio stile, la partita del Milan che, nella ripresa, si è tenuto indietro mentre la Juve, poggiando sulla vena fisica dei suoi corazzieri, ha infilato uomini e palloni nell'area rossonera. Il Milan si è perso El Shaarawy (problema fisico come Caceres), Llorente non si è negato lo spreco.
E Tevez ha colpito partendo da lontano, scivolando prima di infilarsi nel buco d'area: scambio da tenori calcistici con Pogba, milanisti in affanno, Abate al disastro e il destro dell'Apache come uno stacco di violino ad incantare. Pallone che ha segnato la differenza tra un gruppo campione ed uno da lavori in corso. E chissà cosa avrà pensato il povero Torres, entrato quando ormai la frittata era servita.
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