Freccia Orobica flop: ferma dopo 20 chilometri

Il treno delle vacanze inaugura il suo percorso: dal centro della Pianura padana all’Adriatico, da Bergamo a Pesaro Il convoglio bloccato dal carico eccessivo: a bordo c’era troppa gente

Freccia Orobica flop: ferma dopo 20 chilometri

L’ironia dell’avvenimento sta già tutta nel nome altisonante: Freccia Orobica. E che freccia. Dopo pochi minuti, la Freccia è ferma nella stazione di Rovato, appena al di là dei confini di Bergamo, territorio di partenza. Una gittata di venti chilometri. Come inaugurazione della speciale corsa estiva, che mette in contatto il cuore della Lombardia con le spiagge di Romagna, un clamoroso flop. Per le nostre ferrovie, l’ennesimo spot promozionale. Succede anche ai treni Vit, very important train, nel magico mondo dell’altissima velocità. Che succeda al treno delle vacanze, proprietà delle Ferrovie Emilia Romagna, non è un’umiliazione. Mette tenerezza, se mai, la causa della fermata: troppi passeggeri, troppo amore per il treno. Praticamente un assalto. Per motivi di sicurezza, la corsa viene bloccata. E la Freccia finisce impaludata.

Anche questa è estate. Anche questo è costume italiano. Alla chiusura delle scuole, tornano i treni delle vacanze. La Freccia Orobica, da Bergamo a Pesaro, tiene in piedi un ponte balneare di antichissime tradizioni. Domenica 13 giugno, ore 7.18, è in partenza sul binario uno eccetera eccetera. Quando si chiudono gli sportelli, il treno è già pieno. Venti chilometri più in là, a Rovato, diventa strapieno al punto da scoppiare. Non ce la fa, può essere pure rischioso. Decisione inevitabile: bisogna alleggerire il carico.
Partono così le prime immagini di un film già visto e rivisto, nell’Italia di ieri come nell’Italia di oggi. Tutto cambia perchè nulla cambi, diceva Tomasi di Lampedusa. L’unica soluzione possibile, in questo vernissage dell’estate 2010, è trovare velocemente dei pullman per caricarci i cristiani in esubero. Vanno messi in mobilità, anche loro, come a Pomigliano. Qui, almeno, per andare al mare. Ma i disagi comunque ci sono. Serve del tempo, per trovare i pullman. Il caldo, la calca, il caos. Intervengono i carabinieri, la polizia, il 118, la Protezione civile. Anziani e bambini hanno bisogno di assistenza. Come ormai tutti sappiamo, nei megaingorghi a Barberino del Mugello come sui traghetti in avaria, bisogna innanzitutto idratare. Buone vacanze, Italia.

La Freccia Orobica, o quel che resta di un nome troppo ambizioso, riesce a ripartire soltanto dopo le undici, con un carico di bagnanti eco-sostenibile. Gli altri in pullman, lungo l’amata A14, sperando che all’innesto dal Brennero con la A1 non ci sia coda. Già ci sarà dopo, allo snodo di Bologna...

Conosciamo bene i riti immutabili delle nostre partenze. Cambiano le ere geologiche, si susseguono i mutamenti meteorologici, svoltiamo da un secolo all’altro, ma anche noi continuiamo a partire come partivano i nostri padri e i nostri nonni. Con noi, come noi, partono pure i nostri figli. Loro hanno il trolley, negli anni Sessanta avevamo la valigia di cuoio-cartone legata con lo spago sul portapacchi. Allora era Seicento, adesso è Freccia Orobica. Ma non si registrano apprezzabili cambiamenti: si soffre, si soffia, si suda.

Certo può essere un segnale consolante che si continui comunque a partire, in tempo di crisi come in tempo di boom economico. Ma il parallelo rischia di innescare discussioni troppo impegnative, genere sociologia Cepu. Qualcuno potrebbe persino giudicare questo assalto alla Freccia Orobica come una chiarissima conferma della crisi, con tutto quello che ormai mi costa il viaggio in macchina, tra benzina e autostrada ormai ci vuole il mutuo... Ma al netto di tutte le spiegazioni congiunturali, resta fermo un punto fisso: l’amore, forse la devozione, degli italiani per il treno. Più sono stipati, ammucchiati, accatastati, più gli utenti si fidelizzano. Non farebbero mai cambio. E non è un modo di dire: è scientificamente dimostrato. Proprio in queste stesse ore di inizio estate. L’altro giorno, l’analoga rotta salmastra dalla Lombardia alla Romagna, però via aerea, genere low-cost e tempi rapidissimi, decollo da Montichiari e atterraggio con i piedi nella sabbia di Rimini, anche questo impantanato e fermo in stazione, senza neppure accendere i motori. Di genere opposto però la causa dell’inatteso stop: non c’era un solo utente. Zeru titulari, direbbe il Mou.

Come spiegare un simile contrasto? Il treno delle vacanze fermo a Rovato per sovrappeso, l’aereo delle vacanze fermo a Montichiari per totale assenza di clientela. Nel giro di dieci chilometri, il mistero dei nostri esodi.

Ci dev’essere un motivo profondo, quasi un richiamo ancestrale, nella nostra cocciuta preferenza per la ferrovia, ai limiti dell’autolesionismo. Più ci fa soffrire e sudare, più ce la teniamo stretta. Chi può dirlo: forse è solo perchè sappiamo che comunque, per quanto lento, unto, sovraffollato, su quei binari corre sempre un treno della speranza.

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