Frenata dopo 16 mesi di sprint «ma ora si riparte lentamente»

nostro inviato a Torino

Per la quarta volta in poche settimane Sergio Marchionne è volato in Usa. L’impressione, però, è che in questa occasione volta l’ad di Fiat Group farà la spola tra Auburn Hills, Detroit e Washington fino a quando non avrà Chrysler nel carniere. E Opel? «È un’opportunità a cui guarderemo», ha risposto il presidente di Fiat, Luca di Montezemolo, uscendo dal Lingotto dopo la riunione del cda che ha conferito a Marchionne il mandato di chiudere su Chrysler.
«L’industria dell’auto si sta ristrutturando - spiegava ieri l’ad a un analista - e stiamo assistendo alle sgretolamento dell’impero Usa». «La grande rivoluzione - ha aggiunto Montezemolo - non è ancora finita». Tutte occasioni da cogliere per un top manager abile come Marchionne, il cui obiettivo è costituire un gruppo da almeno 5,5-6 milioni di vetture l’anno, con un livello di produzione per singola piattaforma di un milione di veicoli. L’ad di Fiat, che considera ovviamente come priorità l’operazione Chrysler, ha comunque una visione a 360 gradi in cui, oltre a Opel (un emissario del governo tedesco lo raggiungerà in Usa, mentre il sindacato Ig Metall si è già detto contrario a una soluzione torinese), figurano altri costruttori («non escludo Opel, gli altri tedeschi e i francesi»). Un fatto è certo: se dopo Chrysler arrivasse Opel, o un altro costruttore, Fiat seguirebbe la stessa strategia: nessun esborso finanziario, prima, durante e dopo il matrimonio. Quindi, accordi basati sempre su scambi di tecnologie. Marchionne confida che l’alleanza con Chrysler avrà il via libera. «In questo momento - dice - lo scoglio maggiore è rappresentato dalle banche creditrici. Vogliono i soldi; è un aspetto che Fiat non sta trattando in prima persona. Se ne occupa il Tesoro. Non c’è alcun progetto di finanziare l’operazione con le cessioni di Cnh e/o Iveco, come ipotizzato da qualche analista». Marchionne, dunque, sta alla finestra, con la certezza che avvicinandosi il 30 aprile aumenterà la pressione sulle banche degli uomini del presidente Barack Obama. «È un problema - ha osservato ieri l’ad - che non posso gestire». Intanto il nodo sindacale, si starebbe allentando. Secondo il quotidiano Globe and Mail, che cita fonti vicine al negoziato, Chrysler Canada, la divisione canadese del gruppo del Michigan, sarebbe vicina a un accordo con il Canadian auto workers (Caw) sulla riduzione del costo del lavoro. Le parti sarebbero a uno o due dollari di distanza dai 19 dollari l’ora cui punta Chrysler, in ottemperanza ai requisiti federali e dello Stato dell’Ontario.
Ieri Marchionne ha accennato anche al futuro assetto del gruppo: nessun nome nuovo e neppure nessuna unione (FiatChrysler) sull’esempio dell’ex colosso DaimlerChrysler, ma i nomi dovrebbero restare distinti di qua e di là dell’Atlantico. Per quanto riguarda il management, spetterà a Fiat e al Tesoro Usa decidere composizione e vari incarichi. E se Marchionne sarà sicuramente il ceo della nuova Chrysler, è dato per scontato l’addio dell’attuale numero uno Bob Nardelli una volta definita l’operazione. A lavorare per la casa americana potrebbero comunque essere i numerosi manager di Fiat, «travasati» in questi anni negli Usa dalle varie divisioni (Auto, Iveco, Cnh) che, come ormai abitudine a Torino, porterebbero così più cappelli.
Fiat acquisirà inizialmente il 20% di Chrysler e potrà salire fino al 35% con il raggiungimento di alcuni obiettivi. Prevista anche una opzione call su un ulteriore 16%, esercitabile in 7 anni.

Ad aggiungere ancora più suspense, infine, la notizia riportata ieri sera dal New York Times che il Tesoro starebbe preparando una bancarotta pilotata, per Chrysler, che potrebbe scattare già la prossima settimana. «Fiat - scrive il Nyt - completerebbe la sua alleanza, mentre il gruppo è sotto amministrazione controllata».

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