Con I fronti di guerra la Storia dItalia del XX secolo ripercorre i momenti più importanti della partecipazione nostra al secondo conflitto mondiale e approda al tragico e umiliante epilogo dell8 settembre 1943, larmistizio. La resa incondizionata agli angloamericani - perché di questo si trattò, non duna uscita di scena negoziata - fu preceduta dalla destituzione di Mussolini, luomo che tanta parte dItalia aveva adorato e che dimprovviso scoprì dodiare: ritenendolo, con ragione, responsabile delle terribili sciagure che avevano colpito il Paese. Eppure il Duce era stato abbattuto non da una rivolta di popolo ma da una congiura nella quale il clan monarchico sera associato, pur senza un legame stretto e formale, a quei gerarchi capeggiati da Dino Grandi che ritenevano la sconfitta inevitabile e il regime condannato. Nelle pagine di questo volume è riprodotto il proclama, insopportabilmente enfatico, con cui Vittorio Emanuele III annunciò davere assunto «da oggi il comando di tutte le forze armate» e disse agli italiani di sentirsi indissolubilmente unito a loro «dalla incrollabile fede nellimmortalità della Patria».
Gestire il dopo Mussolini sarebbe stato impresa di spaventosa difficoltà anche per governanti geniali. Ma il Re e Badoglio lo fecero con una goffaggine e una indecisione solo un po riscattate dagli errori colossali che i nemici - ancora per poco - commisero. Badoglio dichiarò che «la guerra continua» sapendo che non poteva continuare, Vittorio Emanuele III non pareva in grado di valutare la portata degli avvenimenti, covava la speranza dun fascismo senza Mussolini, o almeno dun governo di legge e ordine non disturbato da spinte democratiche. Il modo in cui il contatto con gli alleati per una cessazione delle ostilità fu avviato e condotto non poteva essere peggiore. Sbagliato lapproccio, sbagliato il personaggio che ebbe lincarico di tentarlo, quel generale Giuseppe Castellano che anche nel fisico, con i suoi capelli imbrillantinati, pareva fatto apposta per suscitare diffidenza negli interlocutori. Anche quando si arrivò al sodo, ossia alle modalità della resa, il Re e Badoglio tentennarono. Dal canto loro i comandi angloamericani furono duna scoraggiante mancanza didee nel progettare una conquista della penisola realizzata partendo dalla Calabria e poi risalendola passo passo. E furono inoltre duna spietatezza gratuita e ottusa martoriando le città del nord Italia, nellagosto del 1943, con bombardamenti intimidatori, e attuati in modo tale da colpire esclusivamente la popolazione civile. Quello sfoggio di terrorizzante potenza - che avvenne anche altrove e in misura ancor più micidiale, si pensi a Dresda - era del tutto insensato. Un bambino - ma a quanto pare non i cervelloni degli stati maggiori alleati - era in grado di capire che lItalia aspirava solo a uscire dal conflitto, che ne sarebbe presto uscita, e che era del tutto inutile esercitare pressioni tragicamente dure per indurla al gran passo. Se penosamente irresolute erano state le azioni della corona e del governo durante i 45 giorni badogliani, con larmistizio esse furono catastrofiche e vili. «Alle cinque del mattino del 9 (settembre, cito dal volume) un corteo di macchine partì da Roma percorrendo la via Tiburtina per Pescara». Era la fuga famigerata. Ho la convinzione che la monarchia sia finita quel giorno, non con il referendum del 2 giugno 1946. Gli storici filomonarchici sostengono che con quel «trasferimento» Vittorio Emanuele III volle preservare dalla cattura il simbolo dello Stato. La scusa è debole perché il comandante tedesco Kesserling sera rassegnato ad una ritirata fino al Po prima dassistere al disfacimento dei reparti italiani, privi di ordini.
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