
Che cosa fanno cinque persone - tre ucraini, un francese e una americana russofila - durante un picnic nel Midwest degli Stati Uniti? Cercano una lingua comune, e non la trovano Perché l'americana, che è professoressa di letteratura russa, parla inglese, russo e francese (la lingua dei personaggi di Tolstoj), gli ucraini parlano inglese, ucraino e russo, ma il francese non sa il russo e si rifiuta di parlare inglese. Insomma: i due ucraini sono una ex coppia e sono i genitori del più giovane della compagnia, che porta il nome altisonante di Myroslav (pace e gloria, in ucraino, ma intraducibile in russo), ed è l'unico a parlare tutte le lingue del gruppo; il padre Jevhen è sposato con l'americana, la madre Lada con il francese. Entrambi, Jevhen e Lada, hanno lasciato l'Ucraina dopo il crollo dell'Urss: lei vive in Camargue, lui nel Midwest.
Queste relazioni linguistiche così complicate, che poi sono lo specchio della complessità dei sentimenti dei protagonisti, che si intrecciano alla politica, all'identita' e alla storia del loro Paese, sono al centro di Una storia russa di Jevhenija Kononenko (e/o, pagg.144, euro 18,50), scrittrice ucraina (nata a Kiev nel 1959) che oggi vive fra Europa e Usa. Una storia russa è una storia ucraina, quindi, o meglio, la storia di un uomo ucraino, Jevhen, che si trova a fare i conti con un mondo e una cultura in cui è impossibile anche solo definire quale sia la propria "lingua madre". Infatti, tanto per fare un esempio, nella sua famiglia dell'intellighenzia di Kiev, per suo padre era l'ucraino mentre per sua madre era sempre stato il russo: la donna, pur profondamente antisovietica, parlava per citazioni dai romanzi russi, sfinendo a tal punto il figlio con le "fanciulle turgeneviane" che ormai, per Jevhen, "tutta la letteratura russa era diventata una specie di ragazza per bene" (noiosa, diciamo). Invece a scuola, l'insegnante di ucraino, filosovietica convintissima, puniva gli alunni per ogni parola in russo per dimostrare l'efficacia del sistema staliniano E di fatto, al crollo dell'Urss, in Ucraina gli unici a parlare veramente ucraino - racconta Kononenko - sono gli abitanti delle campagne, perché in città a Kiev il popolino usa un miscuglio di ucraino e russo, il surzyk Eppure qualcosa si smuove e, in quell'inizio degli anni 90, nasce un nuovo movimento, una sorta di elite nell'elite, di giovani intellettuali che, fra loro, parlano un ucraino perfetto ma non morto come quello della letteratura, non plebeo come quello che si sente al mercato e nemmeno "naturale" come quello dei contadini arrivati in città.
Jevhen fa parte proprio di questo gruppo ristretto ed è così che inizia a riflettere su che cosa siano davvero "la lingua e la spiritualità ucraina" fino a cercare di conoscerne "la fonte", ovvero la campagna. L'occasione è una casa lasciata in eredità da uno zio, a due ore e qualche chilometro a piedi da Kiev. Qui Jevhen vuole ritrovare la propria identità, fra l'Onegin di Puskin, i libri di Nietzsche e di Kundera. Si accorge presto, però, che cercare di somigliare a un personaggio di Puskin ha il suo prezzo, in una vita di paese opprimente e pettegola.
In un cortocircuito rivelatorio, il suo tentativo è così fallimentare da concludersi con una fuga indecorosa che ha come esito il suo trasferimento definitivo negli Usa, e da incarnare alla perfezione proprio una trama di quei romanzi russi che tanto non sopporta.