da Milano
Dice di sé che «è raro che io perda le staffe», e pazienza per quel «Diaolo porco» che gli esce ogni tanto, quello è più un intercalare, retaggio delle origini: nato a Bussolengo, in quel di Verona, cresciuto ad Avio, provincia di Trento. Zone di dialetto colorito, e Maurizio Fugatti è così, pane al pane e vino al vino, piatto preferito polenta e coniglio, insomma il leghista perfetto.
A 36 anni è deputato da due legislature. Solo che nella prima, quella breve del governo Prodi, non se lo filava nessuno, e invece in quella che è appena iniziata è già un personaggio. I giornalisti gli domandano di tutto, scusi Fugatti lei che ne pensa del dialogo Berlusconi-Veltroni? E senta Fugatti, ma la 194? Roba da far mangiar le mani alle altre «matricole» del Parlamento.
Devesser che colpisce uno che sognava di fare lelettricista, è diventato commercialista ed è finito a fare da testa di ponte per la Lega Nord in commissione Bilancio alla Camera. Se chiedi di lui ti dicono: «Uno simpatico, è quello della notte». Se chiedi a lui glissa sulla simpatia, «non mi piacciono gli articoli di costume su di me», e si preoccupa: «Della notte in che senso?». Raccontano che è uno che resta in aula fino a tardi, giurano di averlo visto uscire che erano le tre del mattino. Lui allora spiega: «Beh, con la Finanziaria abbiamo avuto da fare, ma non sono mica solo, sa, anche i colleghi del gruppo si fermano con me».
Perché, ammette, è vero che i provvedimenti che escono dal Consiglio dei ministri li hanno già visti Bossi, Calderoli, Maroni, e resta vero pure che fra i libri sul comodino di Fugatti cè un apprezzato «La paura e la speranza» del ministro Tremonti, e però loro, i soldati semplici al fronte della Commissione, hanno il ruolo di «caratterizzare con limpronta leghista ogni progetto di legge, perché non possiamo tradire il consenso degli elettori». E allora eccoli, a far le ore piccole per studiarseli uno per uno, i provvedimenti, e per sfornare emendamenti, dalla carta sociale ai mutui agli extracomunitari tutte le restrizioni per dare precedenza agli italiani le hanno fatte loro.
Così è a notte fonda che Fugatti ha conquistato la sua massima notorietà. Tutto merito del blitz sui servizi locali: una modifica dellultima ora che ha annacquato le liberalizzazioni. Tutto merito dello scontro sullAutorità dellenergia, la Lega che tenta di azzerarne i vertici, il Pd che insorge. Ma soprattutto dellaver saputo tener testa a Pier Luigi Bersani, uno che se ti attacca frontalmente ti piglia a cornate. È successo fra venerdì e sabato scorsi. «Energia, emendamento Lega azzera i vertici dellAuthority» hanno titolato i giornali il giorno dopo, e nella prima riga cera il suo nome, reo di averlo firmato, lemendamento killer. Bersani ha sfoderato il copione che di solito il Pd riserva alla democrazia in pericolo, parlando di «decapitazione» e di difficoltà ad «aggettivare la gravità e lirresponsabilità di un atto che stravolge la logica stessa del sistema energetico...».
E passi la sovversione della via lattea, ma che gli può rispondere un commercialista di Avio a un ex ministro che estrae il termine «aggettivare»? Fugatti non si è scomposto, e ha risposto con sufficienza: «Polemiche più aspre del previsto, vedremo». È finita che la misura è stata respinta, ma poco importa a uno che, nel Trentino che «federalista» lo è già, ha visto crescere dal Lega dall8 al 17 per cento: il titolo di «gladiatore» ormai è conquistato sul campo.
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