Politica

Fuoco amico su Franceschini: «È un semileader, ce la farà?»

Un partito chiamato a decidere tra Franceschini e Parisi, come leader, rasenta il ridicolo: sembrerebbe un commento di Bondi o di Bonaiuti, invece è di Massimo Cacciari. Nella sua brutalità, resta il commento più lucido e più realistico allo psicodramma del dopo-Veltroni. A proposito del cucciolone Walter, tanto tenero lui, una breve parentesi: anche sulle sue celebrate e commoventi dimissioni va segnalato il commento più lucido e più realistico. Nemmeno questo è di Bondi o di Bonaiuti, ma di un altro cervello attivissimo dell’area amica, Giampaolo Pansa. Le sue parole, nel glorioso «Bestiario»: «Non mi ha fatto né caldo né freddo la caduta di Veltroni. È fuggito nel peggiore dei modi, lasciando il suo partito in mutande. Superwalter ha tagliato la corda davanti a un sondaggio negativo per il Pd, pubblicato dall’Unità, con il Pd in caduta libera al 22 per cento e Di Pietro al 14...».
C’è poco da inventarsi: per cogliere davvero quale simpatico clima aleggi nel Pd non serve sfruculiare i gongolanti colonnelli del nemico, ma basta tendere l’orecchio negli ambienti vicini al nuovo segretario. Vicini? Chiamiamoli vicini. Non appena mette la testa fuori dalla trincea per partire all’attacco, l’Obama di Ferrara si trova subito coinvolto in un serrato tiro al piccione, dove è ovviamente inutile chiedersi chi mai sia il piccione.
Pazienza se a dire tutta la semplice e dolorosa verità - un partito che deve scegliere tra Franceschini e Parisi rasenta il ridicolo - è quell’eretico impunito di Cacciari: quello, ormai, l’hanno sbrigativamente relegato tra le cassandre acide che non vanno nemmeno più ascoltate. Il problema è che stavolta il fuoco amico arriva dai pensatoi più affidabili della parte sinistra, a cominciare proprio dall’Unità. Quello che il quotidiano fiancheggiatore gli prepara all’indomani dell’elezione è un lavoretto letteralmente diabolico. Anzi, ci si potrebbero ravvisare persino gli estremi dell’amabile carognata. Grande foto a colori di prima pagina con un pensoso Franceschini, grande titolo in caratteri bianchi «Ce la farà», ma subito attaccato, in fondo all’ultima «à», un enorme punto di domanda rosso. Come dire: sarebbe bello titolare trionfalmente «Ce la farà», sicuro che ce la farà, diamine, stavolta il partito ha svoltato, ma invece tocca usare tutta la diffidenza del caso, già sapendo più o meno come andrà a finire, da qui a qualche mese. Trapela, sulla prima pagina dell’organo che dovrebbe celebrare l’evento, tutto lo scetticismo e il pessimismo di una situazione vagamente disperata. Avendo più spazio, il titolo completo sarebbe: ce la farà, questo povero diavolo? Oppure, senza gli interrogativi che infastidiscono i lettori, più esplicito e più adeguato al senso dell’elezione: vai avanti tu, che a noi scappa da ridere.
Sì, questo sarebbe il vero titolo da sparare: la battuta della famosa barzelletta sugli amiconi che dopo aver preso bastonate, nascondendosi la bocca sanguinolenta con la mano, invitano l’ignaro del gruppo ad andare avanti lui, «perché a noi scappa da ridere». Tutti gli oligarchi del Pd hanno i denti rotti dalle randellate, ma qualcuno devono pur mandare avanti: forza Franceschini, vai avanti tu, che a noi scappa da ridere.
Lui, ignaro, ci va. E in attesa di prendere la propria badilata sulle gengive, deve sorbirsi pure il gelo alle spalle. La stessa direttrice dell’Unità, nel suo commento, non fa nulla per nascondere – diciamo così – qualche perplessità: «Non c’è nessun dubbio che la base del partito preferisse le primarie... Come fa la classe dirigente ad ignorare la prima e la più forte delle richieste? Il vizio – la presunzione – di pensare che gli elettori siano stolti, che siano da indirizzare secondo logiche che non possono capire, porta lontanissimi dal consenso...».
Diamine, l’entusiasmo per l’elezione di Franceschini trapela da ogni virgola. E caso mai non fosse abbastanza evidente, nella pagina di fianco c’è la vignetta di Staino che aggiunge un tocco di euforia. «Avete eletto il nuovo segretario?», chiede lei. Lui: «Beh, segretario è una parolona... Diciamo quello con cui ce la prenderemo dopo le europee».
Dev’essere piacevole trovarsi nella situazione di Franceschini. Più che altro, sentirsi circondato da tanta venerazione. Lo circondano puntualmente anche gli amici del Riformista, a loro volta con un titolone dai toni trionfali, che vuole subito accendere il mito della personalità, lanciando al Paese la nuova icona del Pd: «Il semileader». Gli negano pure un’interezza. E sotto al titolo c’è la foto del nuovo semi-segretario, cui viene subito messa davanti l’immagine di un Bersani che dice: «Confermo, a ottobre mi candido». Graficamente, una riuscitissima perfidia. Anche qui. Sempre per la serie «vai avanti tu, che a noi scappa da ridere». E lui ci va, poveraccio. Magari – senza magari – è pure convinto di mangiarseli tutti, alla lunga. È questa la bellezza della storia: lui ci va e ci crede. Si conferma una curiosa regola: i semileader, come figura umana, non capiscono mai d’essere semileader.

Per questo, alla lunga, risultano anche un po’ grotteschi.

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