Fuori anche Basso Un Giro all’antica: epica e amarcord

Doveva vivere sulla sfida con Cunego, invece il tappone dello Stelvio ha eliminato anche l’altro grande, arrivato a tre quarti d’ora

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(...) a brasarsi in testa al gruppo dei migliori per fare l'andatura pro-Simoni, come l'ultimo dei gregari.
Quanta tristezza. Tutta assieme. In certi momenti, c'è chi riesce a guardare il bicchiere mezzo pieno. Da questo punto di vista, c'è effettivamente di che consolarsi. Prima per Basso, che nobilmente non si sottrae alla pubblica vergogna, recitando fino alla fine la parte tragica. Poi per Cunego, che nella sit-com della sua squadra subisce docilmente la sorte di coniuge-facchino, ritagliata appositamente dai consuoceri Corti e Saronni. Vederlo fare da sguattero in casa, dalla mattina alla sera, è immagine penosa. Però dimostra una verità gigantesca: Cunego è fedele e leale. Alle volte, le coincidenze: l'anno scorso, proprio sull'altro versante della Valtellina, lo stesso Simoni che adesso gli dice bravo per aver fatto il gregario salutò con un tremendo «bastardo» la sua vittoria. Cerchiamo di non dimenticare, almeno. E cerchiamo di tirare conclusioni, in questa sit-com che sulla lealtà domestica non ha mai avuto idee molto chiare...
Tornando però a vedere il bicchiere mezzo vuoto, la visuale è incredibile: non sembra nemmeno lo stesso Giro di qualche giorno fa. È come se fossimo improvvisamente saliti su una macchina del tempo, tornando indietro di un'era. Dal festival della nouvelle vague, dal futuro che comincia con Basso e Cunego, ci ritroviamo nel già visto e risaputo: Savoldelli in rosa, Simoni che lo attacca. Nomi e volti di una generazione fa. Dal Giro del domani siamo ormai immersi in un dimesso Giro al vago sapore d'Amarcord. È il passato che torna, senza offesa per nessuno.
Forse non è elegantissimo esprimere mestizia di fronte ad atleti che hanno appena concluso una tappa di sette ore, martirizzandosi su e giù per le Alpi. Ma su questo loro lavoro nessuno si permetterebbe mai di eccepire: bravo a Parra, bravo a Simoni che comunque attacca sempre, e bravo a Savoldelli che salva la maglia rosa tra i crampi. Però non bisogna sottrarsi allo sforzo dell'analisi: si definisce brutta anche una partita combattuta per 90' sotto il nubifragio. Dunque, nessuna ipocrisia: dopo due settimane di Giro grandi firme, imbocchiamo una terza settimana di Giro grandi reduci. Onore a loro, ma non è lo stesso. Prendi Savoldelli, che adesso comanda. In rosa non esita a pronunciare queste parole: «Io sono un buon corridore, ma Armstrong è un'altra cosa. Sarà un onore per me andare al Tour per fargli da gregario». No, non è bello per il Giro. Sono parole che lo deturpano e lo immiseriscono. Savoldelli ne esce da corridore corretto, ma il Giro ne esce umiliato: vi si legge tutta la pena di una sottomissione.
Quanto a Simoni, l'antagonista: siamo alle solite. Tenacissimo di intenzione, nei fatti si rivela sempre innocuo. Adesso non ha nemmeno più la scusa dell'anno scorso: la sit-com di «Casa Cunego» è girata totalmente a suo favore. Non ci sono più «bastardi» a rovinargli la corsa. Eppure, a Ortisei come a Livigno, attacca solo nel finale, portando via dalle sue montagne solo una misera manciata di secondi su Savoldelli, senza però mai dare l'idea di ammazzare niente e nessuno. Per sovrapprezzo, a Livigno ci mette pure una dichiarazione sconcertante: «Non era la montagna che volevo...». A questo punto, può solo stendere regolare reclamo contro il Padreterno, incapace di scodellare montagne adeguate a Simoni...
Diciamolo: in questo Giro imprevedibilmente girato all'indietro, su un passato di medio cabotaggio che si credeva superato, resta solo Di Luca.

L'abruzzese è l'unico ragazzo beat sopravvissuto nel circolo dei reduci: però ha già dato nelle classiche, però non ha preparato il Giro, però è stanco e potrebbe scoppiare da un giorno all'altro... Eppure è lì, eppure ha un'occasione storica per vincere. Ogni giorno infastidisce Savoldelli e Simoni sulle loro montagne. Significherà qualcosa.

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