FUORI DALLA NOTIZIA - Ogni Gioconda è bella a mamma soja

Le notizie non muoiono sulla carta, né nell'etere, né in Rete. Sopravvivono altrove. Dove, non si sa. Proviamo a immaginarlo

Le notizie non muoiono sulla carta, né nell'etere, né in Rete. Sopravvivono altrove. Dove, non si sa. Proviamo a immaginarlo.

LA NOTIZIA. Sorridente, poi beffarda e infine seria: la mutevole espressione della «Gioconda» da secoli è un enigma per chiunque la osservi. Ora però, due ricercatori spagnoli sostengono di aver risolto il mistero: il segreto del sorriso del più celebre quadro di Leonardo da Vinci è negli occhi di chi lo guarda, per la precisione nelle diverse cellule che compongono la retina e che trasmettono informazioni differenti al cervello.
Secondo Luis Martinez Otero - il ricercatore dell'istituto di neuroscienza di Alicante che ha condotto lo studio insieme a Diego Alonso Pablos - questi flussi di informazioni, detti «canali», che codificano i dati relativi alla grandezza di un oggetto, alla sua luminosità e al suo posizionamento, variano di volta in volta, creando una percezione diversa dell'espressione della «Gioconda». «A volte un canale prende il sopravvento e si vede il sorriso, altre volte invece prevalgono altri canali e il sorriso scompare», ha spiegato Otero alla rivista scientifica britannica «New Scientist».
Per dimostrare la loro teoria, i due studiosi hanno dapprima chiesto a un gruppo di volontari di guardare immagini di diversa grandezza del dipinto da distanze diverse e hanno scoperto che più vicini si è al quadro più è facile captare il sorriso. Con il secondo test i ricercatori hanno cercato invece di determinare come la luce influisce sulla percezione del quadro. La luminosità di un oggetto in relazione a ciò che gli sta intorno viene distinta dalla retina attraverso le cellule gangliari, che sono di due tipi: le «centro-on», stimolate quando a essere più luminoso è l'oggetto stesso (per esempio una stella nel cielo notturno), e le «centro-off», attivate quando invece è l'oggetto a essere più scuro (a esempio le lettere su una pagina bianca).
Per confondere questi due diversi canali, Otero e Pablos hanno fatto guardare ad altri volontari uno schermo nero o bianco per 30 secondi e hanno poi mostrato loro un'immagine della «Gioconda». Il sorriso, hanno scoperto, veniva notato di più da quelli ai quali era stato mostrato lo schermo nero, spingendo i ricercatori a concludere che sono le cellule «centro-on» a distinguere il sorriso. A influire su come l'espressione viene percepita sarebbero anche, infine, la visione centrale e quella periferica: i volontari che avevano un minuto di tempo per guardare il dipinto tendevano a vedere il sorriso quando focalizzavano lo sguardo sul lato sinistro della bocca, ovvero utilizzando la loro visione centrale. Quando però avevano solo una frazione di secondo per discernere il sorriso, i volontari tendevano a usare la loro visione periferica e a focalizzarsi invece sulla guancia sinistra.
Otero e Pablos non sono i primi a proporre una soluzione al mistero della «Gioconda». Nel 2000, Margaret Livingstone, una neuroscienziata della «Harvard Medical School», aveva dimostrato che il sorriso è più evidente nella visione periferica che in quella centrale. Secondo una ricerca pubblicata nel 2005 da un'équipe di ricercatori americani, invece, a far sì che il sorriso venga visto o meno è il rumore visivo che interferisce con la percezione dell'immagine mentre le informazioni viaggiano dalla retina alla corteccia cerebrale.
Ma questo enigma, Leonardo lo avrebbe escogitato apposta, per confondere per secoli il pubblico, i critici d'arte e gli scienziati? Otero non ha dubbi: «In uno dei suoi quaderni scrisse che stava cercando di dipingere espressioni dinamiche perché era così che le vedeva per strada». (fonte: Ansa, 29 ottobre 2009).

FUORI DALLA NOTIZIA. «Ho provato di tutto: l'ho guardata da lontano, da vicino, dall'alto, dal basso, usando soltanto le "centro on", poi soltanto le "centro off" (rischiando di diventare strabico). Poi ho tentato di predispormi favorevolmente osservando a lungo, prima di spostare lo sguardo su di lei, un mucchio di fotografie di modelli per prodotti di bellezza ritagliate da riviste femminili. Mi sono persino sottoposto a un delicato intervento chirurgico alla cornea. Niente da fare. Mia moglie restava un cesso. Per questo, esasperato, l'ho uccisa».


Questo è il messaggio, scritto con del rossetto color carminio su carta da lettera profumata con Chanel nº 5, trovato ieri sera accanto al cadavere di una donna, Lisa Monnezza, in un vicolo del Rione Sanità a Napoli. Nessuna traccia del marito, Gennaro Vinci.

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