Il fuorionda di Pardi: «Silvio? Va fatto fuori»

Roma«Pubblicità». E a Francesco «Pancho» Pardi, durante l’interruzione di Omnibus su La7, scappa una goccia d’odio: «Finché non l’avremo fatto fuori - bonfonchia a proposito di Berlusconi - questa storia non finirà». In studio c’è anche Maurizio Gasparri che, orecchio fine, sente tutto e risponde via agenzie di stampa. E scoppia la rissa. In onda, Pardi aveva attaccato: «Questa storia della campagna d’odio è una balla insopportabile. La campagna d’odio semmai ha un autore fondamentale, che è il presidente del Consiglio». Gasparri reagisce al fuorionda: «Levare di torno Berlusconi, questa è la parola d’ordine della violenza della sinistra». Poi rincara la dose: «Pardi è una persona pericolosa per la democrazia, è come le Brigate rosse, solo Curcio parlava così, usa un linguaggio terroristico che poi pazzi di turno trasformano in oggetti lanciati». La zuffa non si placa: «Ricordo a Gasparri che dare del terrorista a chi non lo è, è passibile di querela. Non lo faccio perché significherebbe avere considerazione della sua scarsa intelligenza». E va giù duro: «Sarebbe il caso invece che colui che una volta chiamavano “il carrierino dei piccoli”, chieda scusa agli italiani per le corbellerie che ha sparato. È un neofita della democrazia».
«Pancho», radici nel movimento studentesco sessantottino, colonnina di Potere operaio, gran capo dei girotondini e fustigatore del dalemismo (accusato di mollezza nei confronti del nemico), ex trombato dipietrista alle europee del 2004, respinge le critiche di essere un cattivo maestro: «Berlusconi s’è sempre scatenato con insulti contro gli avversari. A cambiare il clima ci pensi il premier quando se la prende con il presidente della Repubblica o con la Corte costituzionale». Poco importa se «Pancho» sieda in Senato negli scranni assegnati all’Italia dei Valori, partito che quando c’è da tirare bordate in testa a Napolitano, reo di essere complice del dittatore di Arcore, non si tira indietro. «Pancho», professore di urbanistica, gran regista dei No Cav Day e vecchio tiratore di molotov, dà la sua lezione di Diritto costituzionale: «L’aspirazione del presidente del Consiglio, che era ineleggibile e incompatibile con l’esercizio del potere politico, è avere un rapporto diretto con il popolo. Ma quando s’invoca il consenso popolare si dice una menzogna perché la nostra non è una Repubblica presidenziale». Nessuna delegittimazione dell’avversario e nessuna istigazione all’astio, insomma, per l’urlatore antiberlusconiano che arrivò persino a beccarsi una reprimenda da parte di Nanni Moretti per aver chiamato in piazza personaggi come Grillo e la Guzzanti. «Pancho», rivoluzionario e guerrigliero anche nel nome, non odia mai neppure quando definisce Bruno Vespa «cardinale che celebra il suo imperatore Berlusconi», D’Alema «uno che dalla Bicamerale in poi ha creato solo presupposti di grandi pasticci tra politica, affari, industria e finanza», il Cavaliere «uno salito in politica per risolvere i propri problemi giudiziari ed economici», oppure «uno che è stato votato ma non ne aveva il diritto», o che sostiene «Temevo una dittatura morbida ma ho sbagliato aggettivo».
Parole come pietre anche dal collega di partito Francesco Barbato.

Il quale, durante un sit-in degli operai Fiat davanti alla Camera, s’è lasciato andare a un «Per ogni operaio della Fiat buttato fuori, la tiro io in faccia la statuetta a Berlusconi». Poi, resosi conto della gaffe, ha fatto dietrofront: «Le mie parole sono state fraintese. Ho detto soltanto che per ogni lavoratore licenziato criticherò duramente in Aula Berlusconi».

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