Futuristi, che fatica mollare le poltrone Pdl

RomaEra dai tempi del partito Radicale, e subito dopo Transnazionale, che non veniva tanto concupita la «doppia tessera». Che all’epoca, non c’è dubbio, era pura testimonianza di innamoramento pannelliano, scelta modaiola nei primi tempi, poi diventata persino troppo fané. Esibivano «doppia tessera» personaggi politici di spicco, alla Claudio Martelli, e il significato era pressappoco: il cuore lo nutre Marco, la carriera Bettino. Ma di sicuro non serviva a mantenere doppia cadrega e piede caldo in duplice calzare.
Davvero storia strana, invece, questa dei «futuristi della libertà» scettici e ribelli, ormai pronti al nuovo partito, eppure saldamente incollati all’incarico nel «partito che non c’è più», del partito «che è morto», il Pdl appunto. Quando già il dado era tratto, sembravano ancora non fidarsi della nuova via: tanto da resistere ai pressanti inviti a dimettersi dagli incarichi del partito contestato. Una resistenza vissuta con il piglio della naturalezza, come se fosse del tutto normale lavorare per l’uno e anche per l’altro, come se una vita ordinaria potesse prevedere che di giorno si scappa via con Fini e la sera si rientra con un po’ di nostalgia nella «galera» di La Russa, Bondi e Verdini. Vere e proprie «Penelopi», cui piaceva tessere la tela della virtù continuando però a cedere alle voluttà di un «esercito di Proci».
Un comportamento davvero inspiegabile. E quando alla fine del tira-e-molla i tre coordinatori del Pdl, previa burocratica riunione, hanno dovuto sancire il principio di un’evidente «incompatibilità» (era fine agosto), il viceministro finiano Adolfo Urso ha preso senz’altro le difese dei renitenti, tuonando: «È una procedura poliziesca e intimidatoria che aggrava il clima politico». Piccole follie di sole un paio di settimane fa, dovute forse all’agitazione del momento, e che ormai dovrebbero risultare fugate dalle ferventi parole di Fini a Mirabello.
Eppure, quasi una settimana dopo, c’è voluto ancora un annuncio ufficiale del luogotenente Italo Bocchino, per prendere atto della situazione e invitare la truppa a lasciare poltrone e strapuntini nel pidielle: «Entro oggi i finiani che ancora ricoprono incarichi nel Pdl in tutta Italia si dimetteranno», ha detto Bocchino dagli schermi di Repubblica tv. Non senza sottolineare che il costituendo partito di Fli, secondo sondaggi commissionati da Fini, avrebbe addirittura varcato la soglia del 7 per cento. Non solo: «Fli» avrebbe oltre 11mila iscritti (via web a pagamento), una struttura già salda sul territorio e la settimana prossima sarebbe pronta a «incamerare» il suo 36esimo deputato.
In pratica, un bollettino di vittoria su tutta linea. Se non fosse, purtroppo, che dei cinque-sei «incaricati» del Pdl più in vista, a livello nazionale, a fine serata soltanto Enzo Raisi è sembrato prendere sul serio il proclama di Bocchino, dimettendosi da coordinatore provinciale del Pdl bolognese. Seguito dal coordinatore metropolitano Pdl di Genova, dal vice coordinatore regionale della Campania e dei responsabili provinciali di Fermo e Ancona. Nessun accenno a lasciare, invece, da parte dei «big» Roberto Menia (coordinatore del Friuli), Egidio Digilio (Basilicata), Giulia Cosenza (Avellino), Luca Bellotti (Rovigo). Poco chiara anche la posizione di Aldo Di Biagio, responsabile per gli italiani all’estero.
Resta così il segno evidente che forse non sono per nulla chiari neppure i giochi all’interno del Fli, se a poche ore dall’annuncio di Bocchino le cosiddette «colombe» Moffa, Viespoli e Menia hanno stilato un vibrante «contrordine camerati». «Non si comprende la fretta di affrontare problemi inerenti gli assetti interni del Pdl - hanno scritto in una nota -, che certamente esistono ma non sono prioritari e che andrebbero risolti senza reciproche forzature nei tempi e nei modi...». Bella sconfessione dell’arrembante Bocchino, e ode ad una prudente attesa di tempi migliori. Del tutto in linea, si dirà, con la posizione di altri quattro finiani «di ferro» che siedono nell’Europarlamento sui banchi del Pdl-Ppe. Cristiana Muscardini, una veterana, assieme a Salvatore Tatarella, Crescenzio Rivellino e Potito Salato.

Hanno tutti smentito l’intenzione di lasciare l’eurogruppo, in quanto - ha spiegato la Muscardini - è arrivato il momento di passare dalla politica del «parlare e fare» a quella del «pensare prima di parlare e fare». Ecco dunque dov’era l’arcano: lingua batte dove dente duole. Ma tutto troppo veloce.

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