A nove anni di distanza da quel luglio di follia e di sangue, l’inchiesta sul G8 del 2001 a Genova fa la sua vittima più illustre. Il prefetto Gianni De Gennaro, lo zar dei servizi segreti italiani, viene condannato dalla Corte d’appello di Genova a un anno e quattro mesi di carcere. Una pena lieve, ma un reato infamante per un uomo dello Stato: istigazione alla falsa testimonianza. Secondo i giudici del capoluogo ligure, De Gennaro - allora capo della polizia - fece pressioni sul questore Francesco Colucci perché mentisse ai magistrati incaricati dell'inchiesta sulle violenze commesse dalle forze dell’ordine sui manifestanti rinchiusi nella scuola Diaz.
La sentenza della Corte d’appello viene pronunciata alle 14 di ieri pomeriggio e, immediatamente, iniziano ad affluire attestazioni di stima e solidarietà a De Gennaro. I ministri degli Interni e della Giustizia, Maroni e Alfano, gli confermano «piena fiducia». «Bisogna attendere la pronuncia della Cassazione, vale per lui come per tutti la presunzione di innocenza, che è uno dei cardini del nostro sistema giuridico» dice il capo del Viminale. Ma arrivano anche, inevitabilmente, dall’opposizione, le prime richieste di dimissioni. Secondo molti esponenti della sinistra, la condanna rende impossibile per De Gennaro continuare a ricoprire il ruolo cruciale di direttore del Dis, l'organismo di coordinamento tra servizi segreti civili e militari. Fino a tarda sera, dal diretto interessato non arrivano dichiarazioni di alcun tipo. Ma è possibile che De Gennaro scelga di rimettere il suo mandato nelle mani del sottosegretario ai servizi segreti, Gianni Letta: quantomeno per vedersi respingere le dimissioni e confermare la fiducia.
Che da Genova potessero arrivare novità scomode per il 62enne superpoliziotto lo si era intuito già qualche settimana fa, quando la Corte d’appello di Genova aveva ribaltato la sentenza di primo grado sui fatti della Diaz, che aveva mandato assolti i funzionari intermedi della polizia e condannato solo gli esecutori materiali delle violenze sui manifestanti. In appello, erano stati pesantemente condannati importanti «colonnelli» delle forze dell’ordine come Giovanni Luperi, Francesco Gratteri, Gilberto Calderozzi. Si era capito, insomma, che la Corte d’appello genovese era orientata a valutare più severamente del tribunale le responsabilità degli uomini dello Stato. E per De Gennaro, anche lui assolto nel processo di primo grado, il clima si era fatto bruscamente pesante.
Ieri, arriva la tegola. Viene condannato De Gennaro, e la stessa sorte tocca a Spartaco Mortola, ex dirigente della Digos genovese. A «incastrare» De Gennaro, nella ricostruzione della Procura, una serie di intercettazioni telefoniche. La voce di De Gennaro non si sente mai, ma si sentono riferimenti inequivocabili alla sua persona e al suo ruolo. Le intercettazioni ruotano tutte intorno alla figura di Francesco Colucci, questore di Genova all’epoca del G8, chiamato a deporre sulle violenze alla Diaz. In particolare, in una telefonata a Mortola, Colucci racconta di avere incontrato «il capo» e di avere ricevuto da lui il suggerimento di fare «marcia indietro» su parte delle dichiarazioni «per dare una mano ai colleghi».
Basta questo ai giudici della Corte d’appello per condannare un uomo delle istituzioni del livello di De Gennaro? In attesa di conoscere le motivazioni, tra i commentatori che prendono le difese del prefetto e che lo invitano a restare al suo posto c’è chi - come Jole Santelli, vicapogruppo Pdl al Senato -
non lesina le parole: «La Corte d’Appello di Genova ha deciso di essere l’angelo vendicatore degli ayatollah della Procura». Richieste di dimissioni arrivano da Rifondazione, Italia dei valori e da alcuni esponenti del Pd.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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