«Il gabbiano», prove tecniche d’intesa teatrale

CECHOV La versione di Sandro Mabellini punta alle affinità sensoriali tra attori e pubblico

Sandro Mabellini, il regista de «Il gabbiano» di Cechov (nella versione dal drammaturgo inglese Martin Crimp) in scena al Litta sino al 10 maggio (info: 02-86454545), è partito da ottime intenzioni. Il suo spettacolo cerca infatti di istituire una diversa modalità di comunicazione con lo spettatore, al quale gli attori sembrano volersi rivolgere direttamente, in un dialogo quasi personale, persino intimo. Per sottolineare l'assoluta centralità di questo colloquio, lo spazio in cui si svolge l'azione è del tutto privo di scenografia: sull'enorme palco del Litta, dotato per l'occasione di un segmento aggiuntivo proteso verso la platea, gli interpreti si muovono fluidamente, talvolta persino pattinando e comunque facendo avvertire la fisicità della loro recitazione. Mabellini è infatti convinto della «necessità di portare l'attore a “pensare con il corpo“ e non con la testa il suo essere in scena», al fine di creare una maggiore contiguità con il pubblico, un'affinità sensoriale a trecentosessanta gradi, non solo visiva e uditiva. D'altra parte «Il gabbiano» è un testo che indaga proprio il senso dell'intesa, che si interroga sulla foscoliana «corrispondenza d'amorosi sensi» basata sul miracolo della sintonia tra gli individui, sulla capacità di posizionarsi sulla stessa lunghezza d'onda. Proprio a questa componente sonora dei rapporti d'amore, che peraltro nel dramma si intrecciano, sfilacciano e reintrecciano continuamente, sembra far riferimento la musica di fondo, composta da sibili, ronzii allertanti, rumori inclassificabili che fanno pensare a delle «prove tecniche di trasmissione». Già da questi elementi ci si può accorgere che la scena è vuota solo materialmente, ma è ingombra di molte sollecitazioni sensoriali, oltre che di una fisicità e di una verbalità intense e a tratti estenuanti. Ad esse si aggiungono numerosi accorgimenti registici di ardua decifrazione, che risultano superflui o ingiustificati. «Il gabbiano» di Mabellini diventa così uno spettacolo paradossalmente troppo pieno: saturo in primo luogo di intenzioni.

Sono comunque ottime le interpretazioni, spesso giocate sull'alternanza di registri espressivi e sull'abilità nel passare agevolmente dall'uno all'altro. Spiccano in particolare le performance di Roberta Rovelli e Alberto Onofrietti, due giovani attori davvero bravi nel farci avvertire la vitalità inappagata dei loro rispettivi personaggi.

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