«Gabbie salariali? Di sbagliato c’è il nome»

Milano«Gabbie salariali» è un modo di dire che non piace a Roberto Formigoni, perché rimanda a un’esperienza vecchia e ha in sé l’idea della rigidità, quando invece le differenze tra Nord e Sud sono più articolate e complesse. Lo prova anche l’emergenza mafia lanciata dal presidente della Lombardia e che accomuna Nord e Sud. «È necessario trovare punti d’accordo che tengano conto delle condizioni concrete zona per zona».
È favorevole alle gabbie salariali rilanciate da Bossi e Berlusconi?
«Per favore, non chiamiamole gabbie salariali. Non sbagliamo ancora una volta il linguaggio. Già l’abbiamo sbagliato con le ronde, adesso cerchiamo di non ripetere un tragico errore. È un termine sbagliato che richiama un passato molto vecchio, non più d’attualità. Le gabbie salariali sono superate da quarant’anni e deve essere chiaro che nessuno ha voglia di reintrodurle. Siamo maestri nello sbagliare i termini».
È una critica alla Lega?
«Lasciamo perdere la polemica. La sostanza del problema è che esiste una differenza tra territori significativa riguardo al costo della vita e quindi è giusto che la contrattazione tra le parti sociali tenga conto di queste differenze».
Come affrontare questa differenza nel costo della vita?
«Io rovescio la cosa, si tratta di rompere la gabbia che impedisce la libera contrattazione tra le parti sociali. Se condotta liberamente e con flessibilità, la contrattazione valorizzerebbe i contratti decentrati, territoriali e aziendali, superando la rigidità di una contrattazione centralizzata e centralistica che impedisce di trovare più lavoro e di trovare un punto d’accordo che tenga conto delle condizioni concrete zona per zona».
Propone di eliminare la contrattazione nazionale?
«La direzione può essere quella. Al momento si tratta di depotenziare la parte centralizzata per dare molto più peso ai contratti territoriali e aziendali. Basta applicare la riforma della contrattazione. Questa è l’impostazione giusta e la proposta del governo va in questa direzione».
Ritiene preoccupante la reazione negativa dei sindacati?
«Sulla riforma della contrattazione c’è anche l’accordo dei sindacati, tranne la Cgil che si è violentemente opposta. I sindacati giustamente dicono no alle gabbie salariali, perché è una fase terminata nel 1969. Anche io dico no, perché si abbatterebbe la produttività e diminuirebbe il Pil».
Che ne pensa dell’Agenzia del Sud che Berlusconi intende guidare da Roma?
«È giusto che esista e in questo caso trovo giusto che lo strumento sia guidato centralmente, perché è necessario superare gli squilibri anche tra i diversi Sud. Un organismo centrale serve poi a superare sprechi e clientele. Non si tratta di rifare la Cassa del Mezzogiorno, ma di gestire dal centro un istituto bancario che stanzi finanziamenti per il superamento degli squilibri territoriali. Berlusconi fa riferimento all’esperienza americana del secondo dopoguerra in cui gli squilibri furono superati con un istituto federale, noi diremmo nazionale».
La Lombardia ha istituito un comitato per la legalità degli appalti. Vede un’emergenza mafia?
«È un comitato che ho istituito per vigilare sulle possibili infiltrazioni mafiose. La Regione sta spendendo undici miliardi in tre anni per le infrastrutture, siamo la Regione italiana che sta investendo di più e da diversi segnali ho colto interessi illegittimi di mafia, ’ndrangheta, camorra, che possono infiltrarsi. Così ho deciso di uscire allo scoperto. È un ammonimento forte che non siamo disarmati né ingenui. Se vogliono la guerra, guerra sarà. Stiano alla larga dalla Lombardia».
Descrive una situazione molto preoccupante. Quali sono i segnali d’allarme?
«Ho avuto colloqui con magistrati, imprenditori, prefetti che mi hanno portato a questo passo. Non è un’iniziativa realizzata per spaventare ma per tranquillizzare, come per il governo che manda i soldati in strada. Il comitato per la legalità è composto da quattro super saggi che lottano contro questo tipo di malavita per debellarla e vincerla».


È una condizione straordinaria legata all’Expo?
«Si tratta di opere che non hanno nulla a che fare con l’Expo, per cui al momento non si sta spendendo nemmeno una lira, ma sono legate all’iniziativa della Lombardia che le sta programmando da anni, anni e anni per superare il gap infrastrutturale. Poi nei prossimi anni ci saranno anche i lavori Expo. Se qualcuno vuole mettere in campo ulteriori sentinelle nessuno lo impedisce».

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