Rifugiati nell’albergo accanto agli studi Rai-tv in attesa che lui partecipi a una trasmissione, Gad Lerner e io ci conosciamo davvero per la prima volta. In 20 anni che ci incrociavamo mai più di quattro parole.
«Anche cinque col viaggio a Mosca nell’88 seguendo De Mita premier», ricorda Gad che prima di entrare ha spento l’ennesimo toscano.
«Allora eri inviato dell’Espresso, dopo essere stato giornalista di Lotta continua», dico.
«Ho passato otto anni all’Espresso. Poi mi sono sentito incapsulato in un ruolo di senatore. Decisi di fare altro. Arrivò una proposta di Raitre e mi licenziai dal giornale, proprio per cambiare vita. Così ho iniziato con la tv», dice Lerner, in giacca senza cravatta.
«Cosa serve a un giornalista per sfondare in tv?».
«La sfacciataggine. Nel mio caso, una dose di narcisismo sopra la media. Sfida doppia per me che non sono aiutato dall’aspetto fisico, né dalla erre moscia. Provare a se stessi che se anche appari antipatico riesci a sintonizzarti col pubblico», civetta Gad che, senza essere Apollo, è un tipo. Viso tagliato con l’accetta, occhialetti severi, sguardo che soppesa.
«Ci sei riuscito. Da 15 anni imperversi sui teleschermi», lo rincuoro.
«Ho fatto tesoro delle assemblee di Lotta continua. Conquistare l’attenzione del pubblico, spiazzare, costringere a riflettere, senza cercare l’applauso, né lisciare chi hai di fronte». L’autoritratto di un bastiancontrario, duro con se stesso, ostico al prossimo.
«Con l’Infedele, la tua trasmissione su La7, non segui lo schema conviviale dei talk show. I tuoi ospiti sono più numerosi della media e sembri più un domatore che un moderatore», osservo.
«Si vede che non guardi molto l’Infedele», dice incontentabile.
«Dove sbaglio?».
«Ho drasticamente ridimensionato gli ospiti rispetto alle arene di altre mie trasmissioni come Profondo Nord sui Raitre in cui seguivo una dinamica teatrale. Oggi, mi concedo il lusso senile... ».
«Esagerato, hai 54 anni», osservo.
«... il lusso senile di invitare quelli che considero dei saggi, fuori dalla compagnia di giro romana. Tant’è vero che trasmetto da Milano. Per lavorare, ho bisogno di stupirmi mettendo a confronto le mie tesi con chi pensa l’opposto».
«Hai lanciato qualche personaggio alla Costanzo?».
«Alcuni che ho tenuto a battesimo hanno poi proseguito in tv con successo. Mario Giordano, tuo direttore, poi Tremonti, Brunetta che ho invitati per primo e sono poi entrati nel giro. Gli ospiti li cerco da me, non li rubo ad altri anchor man. Per dire, mai avuto Sgarbi».
«Non ti piace?».
«È il simbolo della tv che cerca l’effettaccio. Il trash può capitare, ma deve essere un incidente non un programma», dice polemico.
«Stai facendo il tuo ghigno proverbiale. Studiato o spontaneo?».
«Se fosse studiato, lo abolirei. Tra le mie vanità non c’è quella di considerarmi bello», dice secco.
«All’Infedele tratti spesso di convivenza tra etnie, di ebrei come te e musulmani, ecc. Ha a che fare con la tua nascita a Beirut?». Come se aspettasse la domanda, Gad parte come un Tgv.
«Certo che sì. A tre anni sono arrivato in Italia, ma ho avuto il passaporto a 30. Per decenni sono stato apolide, facendo la fila per il permesso di soggiorno. Dovremmo passarci tutti per immedesimarci negli immigrati. A Beirut sono tornato per la prima volta l’anno scorso. Io sono Beirut e i luoghi da cui i miei nonni sono affluiti per emigrare in Israele dove vive il grosso della mia famiglia. Sono stato fortunato a venire in un Paese come l’Italia col quale non avevamo alcuna relazione. Avere una meravigliosa maestra elementare che mi ha fatto sentire italiano, vivere l’impegno politico di Lc, entrare nel giornalismo. Il mio meticciato è poi proseguito con la famiglia che ho creato. Due matrimoni. Il secondo felice che dura da anni. Cinque figli, due dalla prima moglie, uno dall’attuale, più i due del suo precedente matrimonio. Ma li considero in blocco figli miei, senza nulla togliere al padre naturale. Tutti convertiti all’ebraismo anche se le mamme non sono ebree».
«Nel tuo sogno di tolleranza universale ti sei fatto paladino dei rom. Hai rabbuffato anche il cauto Alberto Ronchey che avanzava qualche riserva», gli ricordo.
«Aveva citato una frase razzista di Montanelli, grande giornalista, ma molto razzista».
«Battute d’altri tempi. Di fatto, gli zingari vivono di espedienti e sfruttano i figli. Si può dire o no?».
«Sei razzista. Come il tuo giornale che ha fatto titoli sui rom simili a quelli degli anni '30 contro gli ebrei», dice con lerniano sopracciò. È perentorio e, ohibò, intollerante. Taglio corto e chiedo: «La tua tesi?». «Ovvio che la devianza di chi vive nelle baraccopoli, zingari e no, sia maggiore. Sono persone prive di cittadinanza e documenti che, senza questa elementare titolarità, non possono entrare nel mercato produttivo. Il problema non si risolve abolendoli, né estradandoli perché non hanno un luogo dove andare. Non c’è che l’integrazione. Punto». Reciprocamente irrigiditi, proseguiamo la chiacchierata con fair play.
Il politico più bravo in tv?
«Nella tv che ha potuto scegliersi, Berlusconi. Una volta mi spiegò perché non veniva alle mie trasmissioni. “Sono buone - mi disse - ma lei mette gli ospiti alla pari e il protagonista finisce per essere lei. Preferisco Costanzo e Vespa più adatti perché io possa “porgermi dall’alto”».
Quale politico figura meno di quanto valga?
«In tv, Prodi è una frana. Malgrado ciò ha vinto due elezioni. Più che nell’eloquio, il suo personaggio emerge nei rapporti familiari e nell’ottima conoscenza dell’Italia. La stessa che ha Berlusconi che non è affatto, come si dice, solo di plastica».
Meglio ospiti uomini o donne?
«Donne. Vivo come un insuccesso le trasmissioni in cui ne invito una o nessuna. Ma neanche sotto tortura vorrei una donna solo per mostrare le cosce. Quando Vespa invitò Valeria Marini perché facesse delle domande a Fini a nome della gente, scrissi un’editoriale feroce sulla Stampa di cui ero vicedirettore».
Da direttore del Tguno incappasti nell’incidente della foto pedofila e ti sei dovuto dimettere.
«Avevo ordinato di non mandarla in onda. Per un disguido, anche perché veniva da una Procura, fu trasmessa da altri. La faccenda fu poi ingigantita per livore politico. Mi ferì in particolare Berlusconi che mise in dubbio la mia moralità personale».
Ti sei talmente legato a Prodi da autodefinirti il Pippobaudo dell’Ulivo, sua creatura. Non bello per un giornalista.
«Senza dissimulare le mie convinzioni ho lavorato con totale onestà. Arrivato a 50 anni mi sono dichiarato. Ho sempre rifiutato ruoli politici, ma ora esprimo con chiarezza le mie simpatie».
A Renato Altissimo che gli rinfacciava di avere ceduto la Sme a De Benedetti anziché a un imprenditore da lui indicato, Prodi replicò: «Tu mica ce l’hai il taglietto sul pisello». Che ne pensi?
«Insinuare che Prodi abbia un pregiudizio antiebraico è ridicolo. Può permettersi di scherzare perché la sua amicizia per gli ebrei è indiscutibile».
Sei nell’assemblea costituente del Pd. Non bello per un giornalista.
«Non insistere. Ti ho già risposto. Il mio impegno consiste nell’essere segretario del circolo Pd della val Cerrina nel Monferrato dove ho una cascina in cui faccio il vino».
Hai da poco risolto un malinteso con Fiamma Nirenstein, la Giovanna d’Arco di Israele. Ex di sinistra, oggi deputato Pdl. Che ne pensi?
«Non condivido. Mi imbarazza che accusi di antisemitismo implicito gli ebrei che non seguono il suo tragitto. Molti in Israele - a cominciare dal premier Olmert - la pensano come me».
Pansa lascia l’«Espresso», troppo girotondino.
«Ricordo la raffica di articoli antiberlusconiani e girotondini dell’Espresso anni '90 diretto da Rinaldi e da lui. È Pansa che è cambiato, non l’Espresso che anzi è più morbido di allora».
Il migliore dei tuoi concorrenti tv?
«Il suo giornalismo è diverso dal mio, ma apprezzo Milena Gabanelli. Ho una spiccata simpatia per Mentana. Ma quello che fa non è il mio genere. A Santoro riconosco straordinario talento narrativo nei filmati. Una scuola, come quella di Zavoli».
Chi è il maestro dello show politico?
«I maestri possono anche non piacerci. Maestro è Costanzo, che è contento di fare show. Io invece non lo voglio fare. Poi Biagi, cui mi sento più vicino».
Soddisfatto di sé sembra Antonello Piroso, de La7 anche lui.
«Lo vedo naturalmente destinato a succedere a Vespa. Più moderno, ma egualmente abile a fare uscire soddisfatti tutti gli ospiti delle sue trasmissioni».
Un buon giornalista di quotidiano è grasso che cola se guadagna 3.500 euro il mese. Voi ricconi della tv?
«Devi moltiplicare per venti. Però rischi che il contratto non ti sia rinnovato».
Non ti assale un po' di pudore?
«Mai nascosto i miei privilegi. Detesto la retorica di chi lo fa. So però che il benessere implica dei doveri. Cerco perciò di restituire ciò che mi è stato dato con qualche battaglia giusta».
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